lunedì 26 aprile 2010

Calciopoli in dieci minuti.



Questa telefonata tra Luciano Moggi e il compianto giornalista Giorgio Tosatti è sul sito (e sul canale YouTube) di Juventinovero.com da venerdì scorso, ma nessun organo di informazione, finora, ha ritenuto di doverla riprendere.
Certo, i tentativi di seduzione di Alessandro Moggi nei confronti di Ilaria D'Amico, regolarmente finiti in pasto alle comari tricolori dell'Italia liberata, contenevano elementi ben più sostanziosi per spiegare al grande pubblico il perché e il per come di ciò che stava accadendo in quell'estate scandalosa e scandalizzata.
Vorremmo solo, stando così le cose, che quegli stessi organi di informazione - seppur totalmente privi della materia prima che dovrebbe costituirne il corpo, la sostanza, ovvero i giornalisti, al punto da averne delegato i compiti di base a dei perfetti dilettanti come noi - sostituissero i loro anatemi contro chi, come noi, ritiene quella di Calciopoli una verità fasulla e ancora tutta da scoprire, con un dignitoso silenzio.

E buon ascolto, in particolare al minuto 7:15.

Un Trillo da Corso Agnelli/18.


Dice un mio amico juventino che se Camoranesi fosse impiegato al catasto farebbe dai nove ai dieci mesi di mutua all'anno, e quello visto ieri a Torino, in effetti, non fa che confermare la sua teoria. Così come lo spintone dato dall'oriundo con la coda al guardalinee per una decisione non gradita, quando ancora mancava un'ora al termine della gara, non fa che confermare la teoria di molti juventini come noi, impermeabili alle mode, teoria secondo la quale non è soltanto il Luciano Moggi uomo-mercato a mancare alla Juventus odierna, quanto piuttosto il dirigente capace, anni fa, di far chiudere il cancello in faccia al procuratore che pensava di accompagnare Maurino con l'auto fin sotto l'albergo del ritiro estivo dove si era presentato in ritardo, invitandolo amorevolmente, il Maurino, a raccattare le valigie e farsela a piedi senza fiatare.
Purtroppo ne è passata di acqua sotto i ponti, da allora, e l'unico a riportare indietro per un istante le lancette dell'orologio, oggi, anzi ieri, è un signore dall'accento veneto vicino a me, mentre ci allontaniamo dallo stadio per tornarcene a casa. Camoranesi spunta dalla pancia del Comunale al volante di una Porsche Cayenne, il sorriso stampato in volto e la manina a tergicristallo per salutare i passanti. Il signore dall'accento veneto lo copre di elogi, dei quali non posso riferire il contenuto se non di quello più rassicurante con il quale apre la sua personale rassegna: "Che cazzo hai da ridere, coglione?".
A voler essere pignoli, aggiungo, anche se Tuttosport ha come sempre già trovato le soluzioni, oltre a un direttore generale vecchia maniera servirebbe anche un allenatore capace di spiegare al nostro Nino sui generis che sì, è vero che un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia. Ma altruismo, a volte, può anche significare non aver paura di lasciarlo tirare a chi se l'è guadagnato, il calcio di rigore, e pazienza se la palettina col trecento e fischia verrà buona per un'altra volta. In questa Juve di polpa da addentare ormai non ce n'è più, sarebbe l'ora di provare ad allargare i propri orizzonti, o no? Così, nel caso un allenatore vecchio stampo dovesse arrivare davvero. Visto che persino la curva, ieri, ha finalmente rotto gli indugi nei confronti dell'erede "disegnato" sbattendogli in faccia il conto della vergogna e delle umiliazioni che, con quella Juve là, nessuno di noi avrebbe mai dovuto pagare.

P.S. Dalla nord, per la serie "non facciamoci mancare niente", è sbucato un edificante "25 aprile: la festa degli infami". Per mero calcolo statistico, anche volendone ottimisticamente attribuire la paternità a pochi elementi, è comunque facile pensare che ieri, da qualche parte nell'universo, più di un nonno di quei ragazzi si sia rammaricato per non essersi fatto un nodo al cazzo, quando ancora era in tempo per farlo.

Poi, almeno, non dite che ce l'hanno con voi.

martedì 20 aprile 2010

Stella stellina.


Il giorno che il Pres-addì-diggì Blanc tirò quel cassetto maledetto per estrarne il progetto stadio ideato da altri e farlo proprio, avrà mai pensato che sarebbe potuto finire tutto in vacca?
Chissà, magari propettive e sogni, in quel momento, erano davvero eccitanti per il delfino francese del delfino italiano, come lo erano già stati il futuro e l'eldorado sociale per i protagonisti del sessantotto. Peccato che poi, il sessantotto, ci avrebbe lasciato Paolo Liguori. E le prospettive per il nuovo stadio, manco quello.
Oltre a navigare a vista alla ricerca di quegli sponsor che fino a qualche anno fa si sarebbero azzuffati per appiccicare il proprio logo sulla nostra divisa ufficiale, ora la task force commerciale della Newentus parrebbe intenzionata a dotare i settori della futura casa dei bianconeri di tante stellette, con relativo nome e cognome, quanti sono stati i Campioni con la "C" maiuscola che ne hanno vestito la maglia nei suoi oltre cent'anni di gloriosa esistenza.
Innanzitutto l'idea: granata che più granata non si può. Perfettamente in linea con la filosofia torinista la quale, priva di ragioni decenti per guardare avanti, da circa sessant'anni guarda indietro, smadonnando con il destino per tutto ciò che, senza Superga, avrebbe potuto essere ma non fu. Più il Filadelfia, la grinta, il tremendismo, Puliciclone, i gemelli del gol, la zona champagne di Gigi Radice, il vivaio più florido d'Italia e la Maratona col numero 12 che, boia faus!, "intanto nei derby del tifo non c'è mai partita".
Oltre all'idea, le conseguenze. Perché le cattive idee, più di quelle buone, portano sempre a delle conseguenze. Secondo Tuttosport, che ha ripreso la notizia dal sito più ridarello che ci sia - Juventus.com, nell'esclusiva area riservata ai Members - , " i cinquanta campioni scelti daranno il nome ad altret­tante zone in cui sarà sud­diviso il nuovo stadio, ca­ratterizzate da stelle gi­ganti a loro dedicate. E i tifosi potranno acquistare una piastrella, nell’area del campione preferito, la­sciando il proprio nome im­presso indelebilmente nel­la casa della Juventus".
Ora, dopo anni trascorsi a vedere le sgroppate di De Ceglie e gli eurogol di Amauri, come se non bastasse, ce lo vedete voi un tifoso della Juve che si compra una piastrella nell'area dedicata a Zibì Boniek per metterci la firma? Secondo me, ben che vada, e ammesso che il colore si abbini ai sanitari, la piastrella quel tifoso la stacca dalla parete nottetempo e se la porta a casa per decorarci il cesso.
Io farei così: se proprio è necessario celebrare il passato per anestetizzare i tifosi dal supplizio di non avere un futuro, allora rendiamo onore, per coerenza, anche ai fautori del nostro radioso presente. Se ci state, dico a voi dell'area commerciale, io di piastrelle me ne faccio almeno tre: quella di Zaccone, quella di Montezemolo e quella di John Elkann.

Non è grandeur, la mia, mica sono francese. E' che ho i doppi servizi.

venerdì 16 aprile 2010

Dolci e severi.



Moggi, la combriccola romana, più varie ed eventuali.

Così, a occhio e croce, la Cupola di 'sto cazzo.

mercoledì 14 aprile 2010

Dolcezza e severità.


Chi solo pochi mesi fa si era permesso di dare del deficiente a un nostro redattore che, durante la presentazione del libro di Paolo Bergamo Sono morto una notte di luglio, gli aveva ricordato dei contatti di suo padre con l'arbitro Nucini, è tornato a parlare.
L'udienza di ieri a Napoli passerà alla storia come quella in cui la difesa di Luciano Moggi ha chiesto e ottenuto di fare entrare nel dibattimento su Calciopoli le decine e decine di telefonate "scomparse", quelle in cui suo padre, e certamente non solo lui, banchettavano telefonicamente sulle griglie degli arbitri manco fossero a Pasquetta.
Lui è Gianfelice Facchetti (a sinistra nella foto), e a scanso di equivoci facciamo subito una premessa: la difesa di suo padre - più che della sua memoria - è assolutamente comprensibile e umanamente sacrosanta, oltre ad essere un suo pieno diritto.
Ciò che stona, semmai, è che Massimo Moratti, forse più preoccupato del Cip6 che del Cipe, dopo averne tessuto le lodi definendolo dolce e severo nella sua incapacità di prestarsi a sondare la riserva dell'A.I.A. per stanare qualche arbitro amico, in realtà lo avesse lasciato diventare, se non trasformato con una regolare investitura, in una sorta di Meani nerazzurro. Ciò che stona, è che il presidente figlio d'arte Moratti non abbia avuto remore nel mandare avanti Facchetti a metterci la faccia (e la voce). Su questo dato oggettivo, credo, il figlio di Giacinto Facchetti farebbe bene a porsi qualche domanda, prima ancora di voler dare delle risposte.
La Gazzetta - e chi sennò? -, da parte sua, non ha perso tempo a porgere un pulpito istantaneo per dare voce allo sdegno di Facchetti jr., per quella che l'avvocato Trofino ha definito ieri "la madre di tutte le telefonate".
Certo quattro anni fa una conversazione del genere che avesse avuto per protagonisti Bergamo e Moggi, anziché Bergamo e Facchetti, come minimo sarebbe stata commentata sulle prime pagine dei giornali da Marione della curva sud e Franco Zeffirelli. Oggi no, oggi non interessa più cosa si dicessero quei due al telefono. Oggi, forse affranti per gli eccessi forcaioli di allora, i Palombi, gli espertoni dello scandalo e i figli dei diretti interessati fanno l'analisi logica delle frasi, come se non sapessero che in quella telefonata, a pronunciare il nome di Collina, del numero 1, è sì Bergamo, solo che il giorno prima lo stesso Giacinto, quello che non telefonava solo ai designatori ma anche agli arbitri, esortava Mazzei - anche lì dolce e severo, ci mancherebbe - a taroccare un sorteggio e chiesto con ventiquattr'ore di anticipo i nomi dei guardalinee di Inter-Juventus.
La differenza di oggi, rispetto al 2006, è che ci sono i rompicoglioni come noi, e non solo, a vigilare sulla disinformazione più sfrenata di chi ha pensato, e pensa ancora, che il prezzo dei propri sogni possa passare anche attraverso la distruzione incondizionata di quelli degli altri. Quella filosofia del fine che giustifica i mezzi che ci hanno rinfacciato per anni, cavalcata come una baldracca brandendo la morale e l'onestà come caratteristiche innate in se stessi manco fossero, la morale e l'onesta, le pupille dilatate durante un orgasmo.
La partita è tutt'altro che chiusa. E come dico da sempre, al rispetto per i morti preferisco di gran lunga il rispetto dei vivi per i vivi.

Che l'arbitro dia il fischio d'inizio, dunque. Collina o chi vi pare.

martedì 13 aprile 2010

Buona giornata, fra il dolce e il severo.


Oggi a Napoli si svolge la prima udienza del processo Calciopoli da quando sono miracolosamente emerse le intercettazioni degli Onesti che "non-telefonavano-piaccia-o-no-alle-difese-degli-imputati", come disse il p.m. Narducci durante la requisitoria per i riti abbreviati dello scorso dicembre.

Per seguire la diretta da Ju29ro.com, clicca QUI.

giovedì 8 aprile 2010

L'orsetto è tornato.


Juventus.com, 7 aprile 2010:
Processo di Napoli: nota della società.
Nel pieno rispetto delle attività riguardanti processi in corso, la Juventus valuterà attentamente con i suoi legali l’eventuale rilevanza di nuove prove introdotte nel procedimento in atto a Napoli al fine di garantire, in ogni sede sportiva e non, e come sempre ha fatto, la più accurata tutela della sua storia e dei suoi tifosi. Juventus confida che le istituzioni e gli organi di giustizia sapranno assicurare parità di trattamento per tutti, come d’altronde la società e i suoi difensori richiesero nel corso del processo sportivo del 2006.

E' chiaro che, dopo la presa di posizione ufficiale della Juventus - la prima in quattro anni - avvenuta ieri attraverso il sito ufficiale, non serva essere deficienti per capire che di sostanza, in quelle parole, ce n'è davvero pochina. Perché lo capirebbe anche un deficientissimo.
E che a preannunciare l'imminente uscita allo scoperto della Juventus fosse stato proprio lo stesso orsetto patteggione della famosa estate calda, ieri l'altro, non lasciava presagire nulla di buono.
Facciamo un passo indietro, 17 luglio 2006. Intervistato da Giorgio Ballario per La Stampa, l'avvocato Cesare Zaccone disse:
"I tifosi possono dire e pensare ciò che vogliono, io rispondo solo ai miei clienti, che sono pienamente soddisfatti del mio lavoro, anche se non del risultato ottenuto davanti alla Caf, è ovvio".
Lo stato d'animo di chi scrive, sia detto senza ironia, è assai simile a quello che per alcune settimane, allo scoppio di Calciopoli, non lasciò spazio a null'altro che allo smarrimento e allo sgomento dinanzi a uno scenario del quale non era possibile capire quasi nulla.
Lui, l'orsetto, si è sempre detto offeso da chi ha interpretato la linea difensiva tenuta nel procedimento sportivo del 2006 come un patteggiamento, che poi significava ammissione di colpa; riuscendo a mantenere anche in questo, cioè nella comunicazione verso i non clienti, in una situazione così delicata e contraddittoria, una posizione netta e indecifrabile allo stesso tempo. Ché alla fine, malgrado i clienti, volere o volare una risposta ai tifosi bisognava pur darla.
Fidarsi di un ritrovato - anzi, trovato e basta, non avendone mai avuto - orgoglio juventino da parte ell'erede pallido, a rigor di logica ispiratore o quantomeno assenziente in questa uscita allo scoperto ufficiale di Corso Galfer sulla vicenda Calciopoli, sarebbe da sciocchi. La noncuranza mostrata in questi quattro anni da Giovanni Filippo Giacobbe verso ogni vicenda bianconera che non fosse imposta da un minimo di decenza nei confronti della tradizione di famiglia basta, per forma, sostanza e reiteratezza, a far da indizio, prova e corpo del reato.
Dall'altra parte del muro, il Milan dei Berlusc-ani Galliani e Meani offre solidarietà ai cugini etici e onesti che non telefonavano mai "piaccia-o-non-piaccia-alle-difese-degli-imputati", ritenendo fuori luogo e improprio tirare in ballo lo scudetto del 2005/2006. Meglio non rovistare nella spazzatura. Sì che loro, i rossoneri, Calciopoli "l'hanno già pagata" (con la Champions League), ma mica vorremo intaccare l'immagine di ani e nani. Da tirare in ballo eccome, invece, e in fretta, quello 2005/2006, azzeccatamente definito "di merda e di cartone" da Giampiero Mughini nella bellissima prefazione del libro "Che fine ha fatto la Juve?". Il nostro libro. Senza falsa modestia, un libro scritto con molto cuore ma con altrettanta analisi da gente che, di quanto emerso in questi giorni su tv e giornali, parla a ragion veduta da quattr'anni.
E se non fosse per il ribrezzo che mi dà il solo pensare a un complimento di Moratti, che tale non vuole essere ovviamente, ci sarebbe di che essere orgogliosi, oggi, per tutti noi "popolo del web", per tutti noi "pinguini da tastiera", nel sentire che secondo lui, secondo loro, gli Onestissimi a prescindere, la Juventus si starebbe muovendo solo perché spinta dalla piazza. Una piazza virtuale, aggiungo, anche se poi tanto virtuale non è, mi pare.
Ad oggi c'è da ritenere che saranno ancora Eredi e Orsetti a orientare il nostro futuro, più delle prescrizioni sportive o delle sentenze ordinarie di Napoli. Tagliamo corto: preferirei affidare la cabina di un biplano a Lapo Elkann e farmici portare in giro per New York legato sulla coda, piuttosto che vedermi ancora in pasto agli equilibrismi dialettici dell'avvocato con la faccia da banconota da mille lire, capaci di rispondere "presente!" sia ai clienti che ai tifosi. Che poi, è ciò che è successo ieri.
I famosi fatti nuovi per ridefinire certe sentenze sportive, come previsto dall'art. 39 del C.G.S., ci sono già. Senza tanti "eventualmente", la rilevanza del materiale emerso in questi giorni, ad esclusione della santità dei protagonisti, c'è eccome. Esercitino la "più accurata tutela della Juventus e dei suoi tifosi", vivaddio, ma non come hanno "sempre fatto". Trovino nuove strade, ovvero quelle di sempre, le uniche, battute per decenni e fino a quattro anni fa da chi li aveva preceduti.
La merda e il cartone sono poca cosa, certo, dinanzi alla miseria nella quale siamo stati ridotti, lo sappiamo benissimo e non molliamo di un millimetro.

Ma da qualche parte bisogna pure cominciare, e cominciare da lì, piaccia o non piaccia alla difesa degli imputati, si può. Anzi, si deve.

lunedì 5 aprile 2010

Chi chi chi, co.co.co., gulu gulu gulu gulu gu- qua qua.



Quello che parla con il co.co.co. Leonardo Meani, addetto agli arbitri degli eterni impuniti del presidente Silvio Berlusconi, è il designatore Pierluigi Collina.
Il dettaglio, giusto un dettaglio, è che ai tempi di questa telefonata Collina arbitrava ancora. Se sarebbe diventato o meno designatore, in quel momento non lo sapeva nessuno. Tranne, forse, chi lo incontrava di nascosto, nel giorno di chiusura, nel ristorante Lodigiano dello stesso Meani.

A presto.

venerdì 2 aprile 2010

Loro non telefonavano.


Leggi l'articolo su Juventinovero.com (QUI)

P.S. La perla di giornata ce l'ha comunque regalata, ieri, Maurizio Mannoni del Tg3. Interista, certo, ma giornalista tutto d'un pezzo.
Intervenendo a RadioRadio, ha risposto così a chi gli domandava cosa pensasse della sparizione/apparizione delle telefonate rimaste "nascoste" per quasi quattro anni: "Se nessun giornale importante ne parla ci sarà un motivo, no? Ne parla solo Tuttosport. Qua sembra che, dopo essersi mangiata tutte le galline, adesso la volpe voglia pure le chiavi del pollaio".

Io non gli ho mai dato del cretino, pertanto mi ritengo in credito.