"Forse è stato più divertente che utile", disse l'Avvocato mentre Zidane era ancora in volo per Madrid. Anche lui, una volta tanto, vittima per un istante della debolezza dei comuni mortali; anche lui, per un istante, inaspettatamente volpe. Anche e proprio lui, che di uva poteva permettersene quanta ne voleva.
Tanti, troppi comuni mortali, invece, quando si parla di Zidane, ti leggono in coro la solita tiritera da Sibille Sperlari: "Zidane? Bravo, ma mai decisivo". Bravo che cosa, poi, non si sa. Perché Zidane non è stato bravo. Zidane è stato sublime. Inarrivabile. Qualcosa di astratto, inclassificabile, da levarti il fiato come Lord Fenner, senza toccarti.
Una farfalla con il corpo da corazziere, un ripostiglio con la serratura blindata per nascondere il pallone ogni volta che i cattivi si facevano sotto per prendertelo. Edgar Davids, il pit bull, un tirannosauro con i piedi un po' così (uno che nella Juve di oggi, per capirci, come minimo sarebbe il Re Sole), faceva quasi tenerezza quando, ogni volta che la strada si faceva un po' troppo a curve, gli scaricava addosso il pallone manco fosse una bomba senza la spoletta. E lui, Zizou, la disinnescava con un soffio.
Mai decisivo, dicono. Certo, come quella sera a Parigi, quando marchiò a fuoco la finalissima del Campionato del Mondo schiantando il Brasile con una doppietta. O come quella notte all'Hampden Park di Glasgow, quando scardinò la Champions League dal suo caveau con un gol di quelli che rimarranno scolpiti nella pietra della storia. Delirio allo stato puro. Oppure, perché no, quando per colpa sua e della finale europea vinta dai bleus contro l'Italia, Berlusconi sbroccò e Dino Zoff diede le dimissioni da commissario tecnico della nazionale. "Azzurri messi in campo come dilettanti. Zidane ha fatto quel che ha voluto", sentenziò il mister mancato di Arcore. Come se potessero bastare Di Biagio, Albertini, Ambrosini, Hulk o il Mago Otelma per impedirgli di orientare il destino e, quindi, la storia.
Come l'altro extraterrestre dell'era moderna - il Pibe - ha solo sfiorato il clamoroso bis mondiale, senza riuscire ad acciuffarlo per un pelo. Ma non senza lasciare il segno - e che segno, sempre lui, mai decisivo - a Germania 2006, scherzando e annientando, praticamente da solo, ancora il Brasile, tanto per cambiare. Mica l'Egitto.
Senza tanti proclami, senza mai tirarla troppo per le lunghe con l'amore per questa o quella maglia, una volta appese le scarpe al gancio appendiabiti di Dio, che dicono gli abbia organizzato una partita d'addio per vedere da vicino se davvero una sua creatura potesse fare la ruleta meglio di lui, non negò mai di avere imparato ad essere ciò che è stato durante i cinque anni trascorsi in bianconero. Poche parole ma sincere, e al posto giusto.
E allora buon compleanno Zizou. Centocinquanta miliardi di questi anni.
Tanti, troppi comuni mortali, invece, quando si parla di Zidane, ti leggono in coro la solita tiritera da Sibille Sperlari: "Zidane? Bravo, ma mai decisivo". Bravo che cosa, poi, non si sa. Perché Zidane non è stato bravo. Zidane è stato sublime. Inarrivabile. Qualcosa di astratto, inclassificabile, da levarti il fiato come Lord Fenner, senza toccarti.
Una farfalla con il corpo da corazziere, un ripostiglio con la serratura blindata per nascondere il pallone ogni volta che i cattivi si facevano sotto per prendertelo. Edgar Davids, il pit bull, un tirannosauro con i piedi un po' così (uno che nella Juve di oggi, per capirci, come minimo sarebbe il Re Sole), faceva quasi tenerezza quando, ogni volta che la strada si faceva un po' troppo a curve, gli scaricava addosso il pallone manco fosse una bomba senza la spoletta. E lui, Zizou, la disinnescava con un soffio.
Mai decisivo, dicono. Certo, come quella sera a Parigi, quando marchiò a fuoco la finalissima del Campionato del Mondo schiantando il Brasile con una doppietta. O come quella notte all'Hampden Park di Glasgow, quando scardinò la Champions League dal suo caveau con un gol di quelli che rimarranno scolpiti nella pietra della storia. Delirio allo stato puro. Oppure, perché no, quando per colpa sua e della finale europea vinta dai bleus contro l'Italia, Berlusconi sbroccò e Dino Zoff diede le dimissioni da commissario tecnico della nazionale. "Azzurri messi in campo come dilettanti. Zidane ha fatto quel che ha voluto", sentenziò il mister mancato di Arcore. Come se potessero bastare Di Biagio, Albertini, Ambrosini, Hulk o il Mago Otelma per impedirgli di orientare il destino e, quindi, la storia.
Come l'altro extraterrestre dell'era moderna - il Pibe - ha solo sfiorato il clamoroso bis mondiale, senza riuscire ad acciuffarlo per un pelo. Ma non senza lasciare il segno - e che segno, sempre lui, mai decisivo - a Germania 2006, scherzando e annientando, praticamente da solo, ancora il Brasile, tanto per cambiare. Mica l'Egitto.
Senza tanti proclami, senza mai tirarla troppo per le lunghe con l'amore per questa o quella maglia, una volta appese le scarpe al gancio appendiabiti di Dio, che dicono gli abbia organizzato una partita d'addio per vedere da vicino se davvero una sua creatura potesse fare la ruleta meglio di lui, non negò mai di avere imparato ad essere ciò che è stato durante i cinque anni trascorsi in bianconero. Poche parole ma sincere, e al posto giusto.
E allora buon compleanno Zizou. Centocinquanta miliardi di questi anni.