martedì 30 marzo 2010

Ostellino ritorna su Calciopoli.


Da juventinovero.com:

Gli ultimi sviluppi del processo di Napoli fanno discutere. Così abbiamo chiesto a Piero Ostellino, che già in passato ci aveva concesso una gustosissima intervista, di tornare a parlare di Calciopoli e della stampa italiana.

Direttore, abbiamo letto con piacere la Sua intervista su Calciopoli rilasciata a Tuttosport. Le ammissioni di Auricchio in tribunale, riguardo ai pochi riscontri effettuati, e alle fonti con cui si sono accertati i fatti, tra cui spiccava la Gazzetta Dello Sport, hanno sconcertato anche Lei?
Più che sconcertato mi hanno letteralmente scandalizzato, perché il colonnello che aveva il compito di andare a vedere le partite per vedere se fossero truccate, in realtà non ci andava e leggeva i giornali, e quindi come inquirente lascia parecchio a desiderare.
Ma c'è un aspetto ancora più preoccupante: poiché lo stesso colonnello Auricchio... (continua a leggere su juventinovero .com)

lunedì 29 marzo 2010

Un Trillo da Corso Agnelli/16.


La leadership, così come il coraggio, se non ce l'hai nessuno te la può dare. Ecco perché ieri la partita io l'ho vista dal mio solito posto al Comunale. Non avrei nessun problema a disertare lo stadio, specialmente in momenti come quello che in casa nostra dura da qualche anno, anche perché non c'è niente di più semplice. Basta non abbonarsi. Ma a queste condizioni, se mi abbono, entro.
E le condizioni attuali sono quelle in cui si dice di puntare al bersaglio grosso ma poi si insultano (e si "scappellottano") i giocatori. La dirigenza, tutta, e di conseguenza la squadra, sono frutto delle scelte di qualcuno che sta più in alto, e quel qualcuno ha tre nomi e un cognome: John Jacob Philip Elkann.
La retorica della maglia da difendere, che certo non ho inventato io, non può essere una razione K da sgranocchiare solo in caso di necessità. In un momento come questo, sulla squadra dovrebbe calare un silenzio di tomba e nulla più, perché mai come adesso la squadra rappresenta il dito dei nostri problemi, non la luna.
Dichiarare di voler prendere la Bastiglia non basta, tanto più se a dichiararlo sono gli stessi che solo due settimane fa avevano condito Juventus-Siena come segue: riapparizione degli striscioni in curva; cori contro la dirigenza, zero; cori contro Giovanni Filippo Giacobbe, meno di zero. Verso il campo, invece, la margherita del t'amo/non t'amo perdeva petali a più non posso, senza interruzioni, con le solite valanghe di merda per chi sappiamo e le solite ovazioni isteriche per chi sappiamo. Ecco, se per prendere la Bastiglia devo seguire questi leader, io allo stadio entro.
Dice il saggio: "Gli striscioni contro Elkann non li lasciano entrare". Albergo. Con tutti i vaffanculo che ti porti per Cannavaro, vuoi farmi credere che un migliaio per John Elkann non ti avanzerebbero, se solo volessi? E' che la leadership, così come il coraggio, se non ce l'hai nessuno te la può dare.
Ciò che è peggio, piuttosto, è che per poche decine di persone che fino alla Bastiglia ci vorrebbero arrivare, sì, ma solo per raccogliere gli ennesimi avanzi lanciati fuori dalle finestre, ci sono tanti, troppi seguaci pronti a sostenere le idee degli altri senza sapere nemmeno loro il perché o il per come. Chiunque, tra questi, desideri assistere a un futuro della Juventus il più possibile conforme a quello che la storia ci ha cucito addosso per oltre cent'anni, farà meglio a cominciare a far di conto su come potrà essere il nuovo stadio-bomboniera, vero e proprio D-Day del nostro futuro, se a organizzare lo spettacolo che tutti vorremmo vedere saranno ancora il principino pallido dal triplice nome e la sua squadra di mediocri collaboratori multinazionali. Questo, solo questo, è il punto.
Il tempo stringe. I brasiliani, i traditori e i brocchi passeranno. Finanche gli immortali con la claque in stile Valentino Rossi, che ci crediate o no, presto o tardi finiranno di rompere i coglioni con le palettine mentre la nave affonda o, se preferite, di estasiarci alla ricerca del gol numero chi-lo-sa per superare Pippo Inzaghi. Dipende dai punti di vista.
Resterà uno stadio bellissimo da riempire. La vedo dura. Perché andare allo stadio, domani come oggi e come sempre, costerà, e - credetemi - se dallo stadio togli tutti quelli che per entrarci spendono dei soldi (e tanti), lo stadio resta vuoto, senza nemmeno il bisogno di mettersi d'accordo prima.

Il tempo stringe, eccome se stringe. Love Juventus. Hate Elkann.

lunedì 22 marzo 2010

Giovanni Filippo Giacobbe.


Salve, mi chiamo Giovanni. Come mio nonno. Perché quella di appioppare ai nipotini il nome del nonno è un'usanza assai diffusa. Lo fanno i ricchi, lo fanno i medi, lo fanno i poveri.
Io, per esempio, sono ricco. E sono giovane, il che di sicuro segna ancor più punti a mio favore. Sai che forza essere ricchi sfondati a novant'anni. Io invece sono giovane e sono già ricco, ricchissimo. Ho cominciato presto a usmare la vita. Ho studiato all'estero, ho studiato in Italia, ho studiato ovunque. Ho assorbito la linfa del comando fin da piccolo, perché quello era il mio destino. Come me ne nasce uno ogni cent'anni. Più crescevo e più imparavo, più imparavo e più volevo crescere. Insomma, più crescevo e più crescevo. Come le formichine, raccoglievo e accatastavo. Formica, non cicala.
Poi, un giorno, mio nonno è morto e mi ha lasciato qualche miliardo di euro. Per cui la quale, cicale cicale cicale. Io sono giovane e ricco, ricco sfondato. Perché come me ne nasce uno ogni cent'anni.
Salve, mi chiamo Filippo. Cioè, mi chiamo "anche" Filippo. Perché quella di appioppare ai figli più di un nome è un'usanza assai diffusa. Anche questo lo fanno i ricchi, lo fanno i medi, lo fanno i poveri. Tanto i nomi mica costano. E poi, se anche fosse, a me che volete che importi? Ricco come sono, avrei potuto scegliermene un oceano, di nomi. Certo mi sarebbe anche piaciuto avere un sacco di cognomi. La vera nobiltà la riconosci dai cognomi, mica dai nomi. Tipo la Serbelloni Mazzanti Viendalmare, quelle robe lì. Io di cognome ne ho uno solo, che manco c'entra con quello di mio nonno. Così, per non saper né leggere né scrivere, ne ho sposata una, di quelle robe lì.
Salve, mi chiamo Giacobbe. Sì, sono sempre io. Perché quella di appioppare ai figli più di un nome è sì un'usanza assai diffusa, ma mica i nomi si tirano su a sorte. Se sei povero tuo figlio lo chiami J.R., Sue Ellen o Diego, come Maradona. Se sei medio lo chiami come il nonno paterno e la nonna materna e la bisnonna materna o paterna e la zia del nonno materno che è rimasta schiacciata sotto il trattore quando era piccola. Se sei ricco, invece, tuo figlio lo chiami con il nome del tuo faro esistenziale. La tua stella polare. Il mio nome significa "colui che soppianta", ovvero fotte il posto a qualcun altro senza tanti complimenti. Ma io non ho fottuto niente a nessuno. Io sono un predestinato, come me ne nasce uno ogni cent'anni. Non posso essere io quello che soppianta.
E infatti mi chiamo Giacobbe, è vero, ma non per le ragioni che credono i maligni. Io mi chiamo Giacobbe come Sandro Giacobbe. Uno che ha fatto cose per nulla memorabili, diciamo pure mediocri, trenta e più anni fa. Eppure, se provi a chiedere in giro, c'è ancora chi se lo ricorda. Io prigioniero, Gli occhi di tua madre, quelle robe lì. In pratica, gli eponimi della mia vita.

Love Juventus. Hate Elkann.

lunedì 15 marzo 2010

Un Trillo da Corso Agnelli/15.


L'ennesimo pomeriggio di un giorno da (El)cani comincia con lo speaker dello stadio che annuncia l'ordine di arrivo del Gran Premio di Formula 1. L'ovazione è "bicamerale", ovviamente, dalla nord alla sud, così come i fischi per Schumacher arrivato sesto. Tradimento: non sia mai. Viva le rosse di Montezemolo, invece, che il tradimento, lui sì, non sa manco dove stia di casa.
Non c'è verso. Al tifoso juventino non basta nemmeno essere arrivato per la prima volta in cent'anni nella condizione di non avere un futuro, per riuscire a discernere tra "un" passato e "il" passato. Questo in sede lo sanno, eccome se lo sanno, e ci scommetto un incisivo di Grygera che non è un caso che lo speaker dello stadio sia diventato - maledizione a loro, maledizione a noi - la brutta copia di Carlo Zampa. "Per la Juventus ha segnato il suo gol numero trecento... il Nostro Capitano!" eccetera eccetera.
Il mio non è bastiancontrarismo. E' solo che relegare il passato di Alessandro Del Piero - grandissimo, sia chiaro - insieme a quello di tanti altri, e non al rango di Storia della Juventus, dovrebbe essere normale.
Del Piero è una mattone, non la casa. E l'essenza di ciò che scrivo sta tutta in quel pallone che, sul 3-2 e con la squadra in evidente calo fisico, non diventa il più facile degli assist per Trezeguet che probabilmente avrebbe chiuso la partita. No, il Capitano si incaponisce a cercare il gol numero trecentodue, puntando e sbattendo contro a un difensore dell'ultima in classifica come Fantozzi e Filini nella mitica sfida tra scapoli e ammogliati.
Forse sarebbe facile, e anche comodo, puntare il dito contro il terzino destro "che tutto il mondo ci invidia" (sms di un un carissimo amico dopo il primo gol del Siena), e magari anche contro chi lo manda in campo, per spiegare l'ennesima figura di merda di questa ennesima stagione di merda. Ma non ho perso ore e ore di sonno a cercare di capire chi e cosa ci abbiano portati fin qui per giungere alla conclusione che la Juventus dei fuoriclasse, del lavoro, della mentalità vincente, e soprattutto dell'"ognuno stia al proprio posto", la mia Juventus insomma, tutto ciò l'abbia smarrito solo per colpa di qualche mezzo giocatore e dei suoi orrori.
Al limite, giusto per continuare a scomodare i santi, faccio notare una cosa. Quel terzino ceco che tutto il mondo ci invidia venne consigliato alla Triade, poco meno di una decina di anni fa, da un certo Pavel Nedved. Ora, senza volere infierire sul fatto che una dirigenza seria un simile bidone non l'avesse manco preso in considerazione, la domanda è: come ve lo spiegate voi? Tutto scemo, il Drago di Cheb? O mica che Raiola, o chi per lui, ci covasse?
Tant'è che, filosofeggiamenti a parte, alla sostituzione di Del Piero si sfiora la rissa tra juventini seduti nel mio settore. "Non ci dà più". "Che cazzo dici, ne ha fatti due!". Interviene un terzo incomodo, seduto un po' più in là, e ovviamente si rivolge al primo: "Hai già detto abbastanza cazzate, sarà meglio che stai zitto". Fine delle trasmissioni.
Siamo talmente ancorati a certi eroi del recente passato da non riuscire a vedere le ombre lunghissime dentro le quali si sta incamminando il nostro futuro. Tutto questo mentre a Manchester, dopo un 4-0 rifilato al Milan dei Meravigliosi in Champions League e un giusto, giustissimo, ma intenso quanto breve tributo all'ex David Beckam sul prato verde di Old Trafford, sventolano le sciarpe giallo-verdi del Newton Heath per alzare un mulinello di vento e vergogna che possa portarsi via i neo-proprietari americani tutti in Red (in banca) e manco un po' Devils (nel cuore).
Da noi, a Torino, sono tornati gli striscioni, e di petardi in curva nemmeno l'ombra. Bene, anzi benissimo. Si festeggiano i trecentouno gol di Del Piero. Si festeggia il tabellone quando il Palermo va sotto a Udine. Si aspira al quarto posto discettando di tradimenti e samurai.

E di cori contro la dirigenza nemmeno l'ombra. Ecco, questo è male. Anzi malissimo.

venerdì 12 marzo 2010

Che fine ha fatto la Juve?

venerdì 5 marzo 2010

Consigli per gli infedeli.


Ovvero: come sfangare una squalifica sicura.

Le nuove norme anti-bestemmie introdotte dalla Federazione hanno lasciato sul campo di battaglia le prime vittime. Capiamo benissimo che il mondo del calcio non possa essere esente dai princìpi che regolano la convivenza civile in ogni settore, uno dei quali è senza dubbio la scelta delle priorità.
Se il mondo del calcio italiano vive un momento generale non certo tra i migliori della sua lunga storia, gran parte di questo declino è da attribuire allo svacco morale sul quale troppi protagonisti, in campo e fuori, si sono adagiati impunemente da tempo.
Non è tanto un problema di bilanci sfondati, di società - magari decotte da anni - tenute in vita solo grazie alle pressioni politiche esercitate verso i creditori, di regole ad "assetto variabile" a seconda di chi le infrange, di livello tecnico da movimento di serie B e di livello dirigenziale e federale da movimento di serie C. Certo, questi dettagli sono migliorabili, come tutti i dettagli, ma il cuore del problema era e rimane uno soltanto: le bestemmie in campo.
Come sempre pronti a destabilizzare l'ordine costituito, ecco allora che proponiamo ai tesserati del Bel Paese un breve compendio aggira-normativa, ad uso e consumo di chiunque voglia continuare a dare impunemente sfogo alla propria blasfemia. Dai, distruggiamolo il giocattolo, una volta per tutte. Colpendolo al cuore.
All'arbitro che vi mostrerà il meritato cartellino rosso, replicate senza indugio trincerandovi dietro all'accorata difesa di uno - o anche più di uno - dei vostri "credo" esistenziali. Fateli vostri, è gratis.
Ecco alcuni esempi assortiti:
1. Il classico: porco ZIO! Ho detto porco ZIO!
Ovvio che se vi chiamate John e avete ereditato una fortuna dal nonno materno, la cosa risulterà subito più credibile. Comunque ottima in caso di questioni familiari e/o di successione aperte con parenti più o meno stretti.
2. Il filo-americano: porco BIO! Ho detto porco BIO!
Ostentate la vostra passione per il fast food made in USA, ricco di grassi, salse, fritti, bevande gassate e ortaggi OGM, in assoluta antitesi con i cibi biologici in voga nell'agriturismo imperante. Sinceratevi che l'arbitro sia etero, dopodiché, per un risultato certo, potrete anche aggiungere "Sono arrivato in Nazionale a colpi di hamburger e muffin, sa?, altro che carotine, fragoline e biscottini per froci".
3. Trauma infantile: porco MIO! Ho detto porco MIO!
Giustificatevi scaricando tutto su vostra madre, colpevole di avervi ingozzato, dai sei ai dieci anni, di minestrina impastata con il terrificante formaggino quadrato della Nestlè. Fingete di volervi abbassare i calzoncini per mostrare anche uno sfogo cronico sui testicoli - che direte diagnosticato dal pediatra molti anni prima - provocato dall'eccesso di conservanti. Difficilmente il direttore di gara non si accontenterà della vostra spiegazione, lasciando così correre.
4. Nella vecchia fattoria: porco, ADDIO! Ho detto porco, ADDIO!
Qui sarà determinante la dose di talento holllywoodiano che saprete sfoderare, segnatamente facendovi scendere sulle guance, singhiozzando, alcune lacrime di disperazione. "Il maiale che avevo in cortile da anni - direte all'arbitro - è stato inviato al macello comunale dal proprietario della cascina dove abitiamo con i miei figli. Mi ci ero così affezionato, sapesse i bambini poi... gli mancava solo la parola...", e giù a piangere disperato. Non sempre efficace, ma con direttori di gara nati e cresciuti in aperta campagna può avere effetti inaspettati.

Nota: invertendo l'ordine dei fattori, il risultato non cambia. Il porco può stare sia davanti che didietro, e voi gabbate la sanzione. E' matematico.

lunedì 1 marzo 2010

Un Trillo da Corso Agnelli/14.


L'importante è che la creatura cresca a piccoli passi ma costantemente, va ripetendo Zaccheroni da quando è arrivato. Si dà il caso che lo pensasse anche la mamma di Miccoli, quando suo figlio era alto poco più di un metro e frequentava la prima elementare; ma se lo guardi - e ancor più se lo senti parlare -, a trent'anni suonati, ti accorgi subito che sperare, a volte, non serve a nulla.
Non importa se sei un bimbominkia dei forum o un minkiacapitàno di lungo corso: oggi, mi perdonerai, mi rivolgo a te. Uomini e infortuni alla mano, difficilmente il lavoro di Zaccheroni potrà dare qualcosa in più a qualcosa che non esiste. Sebbene per un tempo la Juventus abbia addirittura macinato un po' di gioco, come quasi mai le era capitato quest'anno, alla fine è toccato ai pochi tifosi ospiti presenti al Comunale l'onore di salutare Torino, ancora una volta, sulle note di "Tutti a casa alé" e "Lo scemo non canta più".
Senza spostare di un millimetro l'attenzione dai veri responsabili di questa nuova era a strisce bianconere, vista Juve-Palermo penso sia comunque giusto, per onestà intellettuale, fare tre considerazioni sull'ennesima esperienza horror vissuta in riva al Po.
Diego/1. Dopo la partenza-lampo nella doppia trasferta di Roma - parliamo di sei mesi fa - è diventato sempre più la parodia di se stesso, con picchi di inutilità che ne consiglierebbero l'utilizzo come addobbo da panchina almeno per qualche settimana. Ieri sera, l'ennesima prova insignificante. Saltella e rimbalzella per il campo come l'orsacchiotto del tiro a segno, gioca la palla sempre e solo in orizzontale, non tira mai in porta salvo sporadiche occasioni nelle quali risulta letale come il morso di un centoduenne senza dentiera. Non serve alle punte, rompe le palle ai centrocampisti e manda affanculo i difensori (su questo punto fatevi un nodo al fazzoletto, ci torniamo tra poco).
Del Piero. La storia e la gloria non si discutono, ma parliamoci chiaro: se bastassero per essere immortali Bettega giocherebbe ancora, e - anzi - questi di oggi potrebbero serenamente andare, tutti in blocco, a coltivare fave in Val Varaita. Tre partite in otto giorni, per il Del Piero del 2010 dopo Cristo, sono utili solo a sfregiarne il ricordo di quando scriveva la storia e, se possibile, renderlo patetico, come in effetti è stato contro il Palermo. Mi sono tolto lo sfizio di seguirlo per lunghi tratti, è uno dei pochi vantaggi che ti dà il vedere la partita dal vivo rispetto alla tv. E' bolso, appesantito, prevedibile, e quel che è peggio è che nessuno di questi dubbi sembrano sfiorarlo. Su quest'ultimo aspetto, minkiacapitàni di tutto il mondo, meditate. E meditate bene. Qualcuno deve pure avergli rubato il collo. Cazzo, Del Piero è senza collo. La testa ormai incassata nelle spalle, cammina per il campo come certe punte sovrappeso negli incontri di calcetto tra colleghi di lavoro. Sono pronto a scommettere che non veda l'ora di calcare il campo del nuovo stadio, estate 2011. Qualcuno gli avrebbe dato il benservito nel 2006. Mettete a confronto le due Juventus, di oggi e di allora, e tirate le somme che vi pare.
Diego/2. Contro l'Ajax, giovedì scorso, è uscito dal campo con il muso lungo. Ieri sera, sciogliete pure il nodo al fazzoletto, a Cannavaro che gli intimava di sbrigarsi a uscire dal campo per il cambio, ha detto di andare, appunto, affanculo. Possibile che tra Luciano Moggi e Alessio Secco non esista l'anello di congiunzione tra l'uomo e la scimmia, tra il Direttore perfetto e l'addetto alla cancelleria? E che questo anello di congiunzione, se mai esistesse, non possa essere ingaggiato per occuparsi di mettere un po' d'ordine nello sconquassatissimo spogliatoio della Juventus? Trovatemi un solo caso, nella storia recente della Juventus, in cui lo stesso giocatore si sia permesso di fare lo stupidotto due volte in tre giorni, davanti alle telecamere, per via di una sostituzione. E trovatemi un solo caso, sempre nella storia recente della Juventus, in cui un giocatore bolso e senza collo fosse titolare a dispetto dei santi e, anzi, con il benestare adorante dell'allenatore.

Ecco, bimbiminkia e minkiacapitàni, che per un retropassaggio suicida di Grygera a Manninger avete, come al solito, insultato Cannavaro il reietto. Meditate.