venerdì 29 agosto 2008

La corrida.


Dopo l'accoppiamento di Juventus e Real Madrid nel girone inaugurale della Champions League 2008/2009, Zinedine Zidane, dalle colonne de La Stampa, è tornato a parlare di emozioni passate e future sul legame che ne ha condizionato la carriera durante il decennio 1996/2006.
Zizou è uno di quei personaggi al quale non riesco a negare una buona dose di indulgenza nonostante tutto, talmente grande è stato il tasso di goduria che le sue giocate mi hanno regalato lungo quegli anni mostruosi (per gli altri).
Ecco perché, nonostante la sua preferenza nella classifica delle emozioni penda a favore delle merengues, nei suoi confronti non riesco a ragionare da amante tradito come un ultras d'accatto qualsiasi, tipo quel fine e sublime pensatore che ebbi la sventura di incontrare diciassette anni fa al ritiro di Vipiteno: "Minchia Baggio è un violabbastàrdo, non come Casiraghi che invece è un gobbo vero che a Barcellona ha segnato e minchia ha baciato la maglia". Minchia.
Però al cuore non si comanda in tutti i sensi, pertanto mi piace ricordare che non è affatto un caso se le vette più alte della sua carriera, cioè il mondiale e il pallone d'oro del 1998 e l'europeo del 2000, Zizou le ha raggiunte quando a impreziosire le sue spalle c'era sì una casacca bianca come una meringa, ma con in più l'eleganza di quelle strisce nere grazie alle quali qualsiasi straccio senza significato può trasformarsi nella bandiera più bella del mondo.
Certamente il gol che consegnò al Real Madrid la Champions League nella notte di Glasgow 2002, oltre a coronare il suo sogno di afferrare l'unico trofeo importante che ancora gli mancava, rimarrà per sempre una delle cose più belle mai viste su un campo di calcio. Però va anche ricordato come quella squadra, al contrario della Juventus puzzona della Triade che viaggiava in prima classe pagandosi il biglietto sempre di tasca propria, e senza mai dovere nulla a nessuno, era figlia della politica faraonica e sfondata della Casa Reale, nonostante il goffo tentativo messo in scena in quegli anni di comunicare un nuovo modo di pensare il calcio, in maniera più ragionata e meno sprecona. Quello de los Zidanes y Pavones, per intenderci.
Quello che avrebbe dovuto, nelle intenzioni degli spagnoli, coniugare i grandissimi campioni internazionali con i giovani e talentuosi prodotti autoctoni del vivaio.
Vedremo se oggi, a distanza di qualche anno da quel periodo, e con i destini delle due formazioni stravolti e ridisegnati dalla storia (ah no, forse soltanto uno dei due, b.i.d.c.s. - battuta idiota di chi scrive), avrà la meglio l'ostinazione dei madridisti nel collezionare fuoriclasse o la nuova era della Juventus, tutta sorrisi e complimenti agli avversari.
Perché anche a Torino si è cambiato registro dando vita a un modo nuovo di pensare il calcio, e proprio grazie a una politica in grado di miscelare il vecchio con il nuovo.

Quella de los calciopoléros y cogliones.


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sabato 23 agosto 2008

Villar PeNosa.


Che bella questa Juve, che bello essere a Villar Perosa per il vernissage pre-campionato della nuova squadra. Proprio come ai bei tempi, che oggi appartengono a John Elkann così come un tempo appartenevano all'Avvocato. Nel segno della continuità.

Con queste parole l'ex presidente della Juventus Giampiero Boniperti ha firmato stamattina l'editoriale di Tuttosport, diventato ormai a pieno titolo l'alternativa demenziale a Hurrà Juventus grazie al lavoro straordinario del nuovo direttore Lupo De Lupis (al secolo Paolo De Paola), incollato da ignoti sulla poltrona di Giancarlo Padovan lo scorso gennaio.
Prima, cioè, che le posizioni critiche di quest'ultimo nei confronti di calciopoli, della proprietà e degli esauriti Onesti di Milano potessero turbare il sonno della piazza.
Per quanto la groupie ottantenne di Cesare Zaccone e Giovanni Cobolli Gigli avesse già dimostrato abbondantemente - dall'assemblea di aprile 2008 fino all'intervista rilasciata a Roberto Beccantini in occasione del suo ottantesimo compleanno (QUI) - quali fossero le sue posizioni nei confronti della storia della Juventus, evidentemente in Corso Galfer qualcuno ritiene doveroso far fare al popolo un richiamino periodico di predicazione bonipertiana, come si fa con l'antitetanica o la revisione dell'automobile.
Ancora una volta Boniperti conferma quanto la sua juventinità, reclamizzata a gran voce da tutti i tifosi di serie A e B (sempre secondo la classificazione partorita da Cobolli Gigli qualche tempo fa), oltre che da se stesso, sia subordinata al fatto di essere o essere stato, in qualche modo, parte in causa nel pezzo di storia preso in esame di volta in volta.
Un modo di amare che non trova riscontri plausibili nell'unico rapporto d'amore confrontabile, per intensità, a quello fra una squadra e suoi tifosi: il rapporto che lega genitori e figli. Un rapporto nel quale nessuno mai potrebbe anteporre gelosie o rancori al bene di questi ultimi.
Boniperti, invece, pare vivere la sua personalissima passione nei confronti della Juventus come un rapporto fra amanti, dove l'unico bene davvero prezioso non risiede nel bene dell'altro, ma piuttosto nella fedeltà dell'altro verso se stessi.
"Quei dodici anni non mi appartengono", disse a proposito dello straordinario ciclo di vittorie della Juve del dottor Umberto e della Triade.
Problemi suoi, caro ex presidente. Noi tifosi disinteressati ce ne faremo una ragione, gustandoci quella Coppa dolce e meravigliosa giunta nella notte di Roma '96.
Se non bastò per cancellare il dolore, perlomeno servì a rendere più vero l'albo d'oro, dopo quella maledetta di Bruxelles.

L'unica che le appartiene, se ho ben capito.

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mercoledì 20 agosto 2008

Oyster Perpetual.


A giudicare dai messaggi di cordoglio giunti da più parti in occasione della scomparsa di Franco Sensi, pare proprio che qui da noi il passaggio a miglior vita di qualunque individuo debba necessariamente decretarne la santificazione.
Siccome è del presidente della Roma che stiamo parlando, e non dell'uomo, qualche cautela nello spendere parole non sarebbe stata fuori luogo. Ma le parole, come i soldi degli altri, non costano nulla: e allora via alle spese folli.
Quando qualche anno fa, per Natale, Sensi regalò agli arbitri e ai loro dirigenti un cartone di Rolex, venne fuori un piccolo putiferio, prontamente convertito in qualche battutina e poco dopo nel nulla assoluto.
Solo i carabinieri del nucleo operativo di Roma, nel redigere le informative su calciopoli, sarebbero riusciti nell'impresa di indicare in Luciano Moggi - chi sennò? - il vero responsabile di quello scandalo, cioè colui il quale, spifferando alla stampa l'accaduto, aveva trasformato quel gesto carino in un colpo basso all'immagine del presidente dei giallorossi.
Dando per scontata la predisposizione storica dei carabinieri alle barzellette, almeno l'ex sindaco di Roma Walter Veltroni, che non ci risulta ancora essere arruolato nell'Arma, non poteva riflettere un pochino prima di ricordare Sensi per le battaglie di moralizzazione combattute in nome del calcio e dello sport?
Oppure: se chi ipoteca un quinto del proprio stipendio per finanziarsi l'acquisto dell'iPhone è un cretino, perché colui che per vincere uno scudetto in quindici anni si è ritrovato ad essere debitore verso Unicredit di quasi 600 miliardi di vecchie lire dev'essere ricordato come un virtuoso della gestione societaria? Non poteva riflettere un pochino anche l'irreprensibile gran capo del C.O.N.I. Gianni Petrucci, prima di dare fiato alla tromba dell'ipocrisia?
E ancora: Roberto Beccantini, il quale, su La Stampa, attribuisce a Franco Sensi il merito di aver fiutato in anticipo calciopoli, a cosa alluderà in particolare? Al fatto che Luciano Moggi si allontanò da Roma pochi mesi dopo l'arrivo di Sensi per approdare alla nascente Juventus della Triade (quindi da dimissionario, non certo da dimissionato) o alla scelta della Linda Lovelace all'amatriciana Franco Baldini come d.s. giallorosso?
E' storia vecchia come il mondo quella del rispetto per i morti. Ci faccio da sempre i conti nella vita di tutti i giorni, con quella storia. Così come accade dal 14 agosto 2007, cioè da poco dopo la nascita della mia vita sul web insieme a questo blog, quando postai la telefonata immaginaria tra l'Avvocato e suo nipote (QUI) per la quale ricevetti mugugni e rimbrotti dai soliti noti.
E' semplicissimo: basta non guardare quella linea immaginaria che separa gli uomini dal proprio ricordo. Basta avere l'onestà e il coraggio di guardare le loro gesta col senno di prima e non con quello di poi.
Perché ogni uomo le sue gesta le compie prima, non poi. Il "poi" è troppo facile.
Anche coloro i quali oggi, legittimamente, piangono il loro presidente, provino a voltarsi indietro a una decina di anni fa, quando esposero quello striscione con su scritto: "Famo 'na colletta, pe' sto nano che sta 'n bolletta" (QUI il link).
Perché siamo alle solite: non è occultandone i peccati che si onora al meglio una persona scomparsa.

Al limite, così facendo, si finisce col disonorare tutti gli altri. Che hanno il solo torto di esserci ancora.

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martedì 12 agosto 2008

Sinistro di sinistra.


Era da un po' che la nenia sulla proverbiale onestà del petroliere ecologista di Milano non rovistava fra le budella degli uomini informati.
L'esercito di comici (che spesso non fanno ridere, vero Bertolino?) e intellettuali interisti (che spesso fanno ridere eccome, vero Serra?) aveva rallentato la sua inarrestabile avanzata circa un paio di mesi fa.
L'ultima foglia di fico era stata lo scudetto (il primo dopo diciannove anni), conquistato a mezz'ora dalla fine del campionato e solo grazie all'accoppiata più diabolica per qualsiasi esaurito a tinte nerazzurre che si rispetti: la doppietta realizzata a Parma da un giocatore della Juventus (Ibrahimovic) e le raffiche di calci in culo ricevute, durante tutto l'anno, dagli arbitri.
Arbitri i quali, avendo garantito la scorta armata a una sola squadra - la loro - come non accadeva da decenni, improvvisamente non erano più loschi individui da pedinare, ma professionisti esemplari da difendere a spada tratta.
Peccato che, eccezion fatta per gli irriducibili curvaioli travestiti da giornalisti in forza al giornalaccio rosa, la sensazione di fastidio verso quel finto signore sempre attento al telefono (degli altri) cominciava a sollevare più di un dubbio, anche tra gli insospettabili.
Così, inaspettato come una battuta intelligente di Mourinho, ieri sul quotidiano on-line Affaritaliani.it si è materializzato un nuovo capitolo della storia infinita dei Moratti: una famiglia Bradford, in pratica, ma un po' più etica se mi consentite.
Per non guastare le vacanze a coloro che avranno la sfiga di leggere queste righe dal luogo di villeggiatura, eviterò di pubblicare il pezzo di Angelo Maria Perrino, che di Affaritaliani.it è nientemeno che il direttore responsabile. Mica brodo e canestrelli.
Per chi invece le ferie le ha già finite, le deve ancora fare o non le farà proprio, ecco il breve riassunto delle perle portanti del Perrino-pensiero.
"In un mondo legibus solutus" - dice il direttore - perché a quanto pare, in quest'estate 2008, sparare cazzate in abbinamento al latinorum sembra essere un vero cult - aggiungo io -, il presidente degli Onesti si distingue da tutti e dà vita a un progetto straordinario; chi altri se non lui, uomo "di sinistra sempre attento al sociale"?
Diecimila bambini ogni anno, nelle località più sperdute del pianeta, potranno vestire la maglia dell'Inter e, contemporaneamente, partecipare a progetti educativi e ricreativi. Come affidare un corso di sicurezza nautica agli scafisti delle coste albanesi.
Il tutto, ovviamente, immortalato in un film dal regista nerazzurro doc Gabriele Salvatores e presentato in anterpima a Locarno, alla presenza della Moratti Family al gran completo. Altro che Rocky Horror.
Quindi una voce fuori dal coro, quella di Moratti, sempre secondo Perrino, in "un mondo in cui i tifosi si lanciano i motorini dagli spalti e i razzi negli occhi".
Se prima di firmare l'ennesima sviolinata ingiustificata al benzinaio un direttore di testata prendesse la buona abitudine di informarsi un pochino, saprebbe che a lanciare motorini, e razzi negli occhi ai portieri avversari, furono proprio i tifosi della squadra del Signore degli ottani, che forse dovrebbe preoccuparsi di finanziare progetti educativi a Milano, zona stadio, prima che in Vietnam o in Costa d'Avorio.
"In un mondo così, l’eretico Moratti ha il grande merito di aver scagliato il sasso". Complimentoni, al presidente e al direttore.

E se nessuno dovesse imitarne la benevolenza, lui provi a lanciare uno scooter al posto del sasso. Chissà che non diventi il cult della prossima estate.

P.S. Per chi ha ancora la voglia (o la capacità) di sorprendersi, l'intera omelia è consultabile QUI.

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lunedì 4 agosto 2008

Il fumo fa bene.


Vedere il tuo avversario con una gomma bucata quando manca poco alla fine: evviva, jo soy forci forci e sicuramenci soy asistìdo da lassù da lo spirito di Ayrton.
Vedere un fumo della madonna negli specchietti quando manca pochissimo alla fine e capire che quel fumo lo stai facendo tu: jo soy forci forci, ma lo spirito di Ayrton no può nada contra esta màchina di mierda.
Vedere la faccia dell'Emetico quando la macchina di quello forci forci si è scassata: non l'ho vista ma me la immagino, e tanto mi basta.
Viva le Prinz col cavallino. Viva la gastrite dell'Emetico.

Go! Woking. Go!

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