giovedì 27 maggio 2010

Un Trillo dagli U.S.A.


Sì, col cazzo. Trecentonovanta euro di abbonamento, che se non fossimo stati in due a dividerci le spese di autostrada e gasolio mia moglie mi starebbe rincorrendo per i campi con il randello in mano ancora adesso. Della tournée in America ho solo letto lo score finale, ovvio, una volta di più orgoglioso come si può essere orgogliosi della Juve più laida degli ultimi cinquant'anni. Anzi, del laidume, spacciato per Juventus, più laido di sempre.
Dopo averle prese da chiunque nel vecchio continente, i Blanconeri Ridens hanno esportato il modello anche dall'altra parte dell'oceano (Atlantico, non Elkann). Tre pere dai Red Bulls (che ci hanno messo le ali, ma non proprio sulle spalle) e una dalla Fiorentina, che non essendo riuscita a vincere né a Torino né a Firenze - impresa riuscita a pochi, quest'anno -, per suonarcele ha scelto il Canada.
Più che le cascate del Niagara, sullo sfondo dell'immagine da gita a Lourdes qui sopra, come pro-memoria indelebile di questa stagione indecorosa sarebbe stato più adatto il Vajont. Ma tant'è. Un po' di dollari degli immigrati, in cambio di una prova live di cosa fosse diventata la Juve, forse, non erano da buttare.
A mitigare lo sfascio quadriennale che ci lasciamo alle spalle, se non altro, l'epurazione di massa che senza troppa pubblicità sta avvenendo a Torino. Dice il saggio: "Che bilancio vuoi fare, se tutto ciò su cui lavorare è ancora un foglio bianco?". Certo, l'obiezione è pertinente, a maggior ragione se pensi che non è nelle tue corde chiacchierare, mai, non lo è mai stato. Men che meno sotto l'ombrellone. Ma quattro anni di (indi)gestione BlancElkanniana, oltre a sfasciare la Juve da dentro, hanno costretto noi juventini non più a cercare, ma a contare i peli nell'uovo che non c'è più.
E allora mi armo di pazienza e di speranza, non c'è dubbio, ma noto con piacere che tra ciò che si è concluso con il viaggio in America e ciò che è cominciato con l'insediamento (parziale) della nuova dirigenza, la differenza c'è, ed è abnorme.
I pissi-pissi di mercato, per dirne una, non provengono più da Corso Galfer come accadeva ultimamente (Amauri e Diego trattati per mesi sulle pagine dei giornali con aggiornamenti simili a un bollettino medico da parte di Cobolli Gigli). Non credo di sbagliarmi se penso che Andrea Agnelli e Beppe Marotta stiano lavorando a testa bassa, ventiquattr'ore su ventiquattro, per rifondare non solo una squadra, ma prima di tutto una società. Eppure nessuno pontifica, nessuno ammicca, nessuno emette alcun bollettino. Sono semplicemente, quelli che leggiamo, com'è giusto, numeri casuali usciti dalla roulette dei giornali. Un piccolo, ma non troppo, ritorno a quella normalità evocata da Vincenzo Chiarenza durante la presentazione del nostro libro a Torino, lo scorso 14 maggio.
Chiariamoci: per il futuro, tra Palombo e Iniesta propenderei leggerissimamente per il secondo, ma non è questo il punto. Ridateci la Juve, innanzitutto; ridateci il terreno sul quale gli eventuali juventini del futuro possano attecchire. Poi ne riparliamo.
Lavorare e stare in silenzio era un'altra delle regole d'oro della Juventus. Da sempre. Gianluigi Buffon, nove anni di Juventus, di cui cinque normali, dopo la finale di Madrid ha avuto il becco di dire che "dobbiamo prendere esempio dall'Inter". Uno che ha capito tutto. E io che pensavo non capisse niente.

Ritorniamo alla normalità. Monetizzare, please.

lunedì 10 maggio 2010

Un Trillo da Corso Agnelli / The End.


Degno finale di una stagione indegna, quello di ieri. Per l'ultima volta ho posato il mio regale fondoschiena sul seggiolino del fu stadio Comunale, dove a sei anni feci il mio esordio e dove da oggi, che ho passato i quaranta, spero di non mettere piede mai più nella vita.
Ad accoglierci, noi masochisti della frequenza obbligatoria, una sciarpa della Juve con il marchio New Holland, ben sigillata nel cellophane. Memorabilia imperitura di quel matrimonio riparatore avvenuto tre anni fa, quando già si intuivano il talento di Blanc nel trovare sponsor altamente remunerativi e quello del suo capo nel cercare consensi concedendo alla plebe qualche boccone marcio dopo averla ridotta alla fame.
L'epitaffio - pardon, il messaggio di commiato - sui volantini dei produttori di ruspe e trattori più ridarelli del mondo è a dir poco lassativo: "Tre anni di sport e passione vissuti insieme". Certo, soprattutto di passione. Roba che se la racconti a Gesù Cristo quello ripensa alla sua, di passione, e quasi si scusa con te per aver creato tutto quell'allarme per così poco, circa duemila anni fa.
Ad accogliere l'ultima domenica torinese della ex Signora, oggi sciatta e chiatta come non mai, c'è stata pure la dicotomia tra due curve forse mai così distanti come ieri. Da una parte la sud, agli occhi di un osservatore esterno quasi impacciata, come spiazzata dall'improvviso quanto auspicabile cambio di interlocutori che l'arrivo di Andrea Agnelli alla presidenza porterà con sé; un sostegno alla squadra tutto sommato apprezzabile, quello della sud, con tanto di coloriti saluti finali alle sciagure dirigenziali ben rappresentate da Jean Claude Blanc & soci nel dopo Calciopoli.
Dall'altra parte la nord, protagonista di una gazzarra a base di lanci di bombe carta degna di un Master del MIT per imbecilli prodigio. Oltre che per i record negativi stabiliti sul campo dalla Juve, quest'anno passerà alla storia anche per la "quasi sospensione" di una partita in corso dovuta alle intemperanze dei tifosi. La prossima estate probabilmente, per la seconda volta negli ultimi quattro anni, la Juventus inizierà il proprio campionato con il campo squalificato. E stavolta, udite udite, non sarà per colpa di Moggi.
La partita, come quasi sempre in questa stagione, ha avuto nulla da dire. L'ultima di campionato allo stadio, almeno per me, era sempre stata una giornata da farfalle nello stomaco. Vuoi per lo scudetto da festeggiare, vuoi per l'emozione di sapere che questo o quello con la nostra maglia addosso non li avresti più rivisti, o vuoi magari per tutt'e due le cose insieme. Ieri non sapevi se essere contento perché era finita, come a naja, o cosa.
Io, mentre veniva giù tutta quell'acqua, pensavo che di ultime così nel mese di maggio ne capitano poche, e in quello stadio l'ultima volta che era piovuto così era successo che a dirci addio era stato Michel Platini. Poi, in mezzo a quei pensieri, Del Piero fa 304 celebrato dalle t-shirt delle sue Winx e dei suoi Power Rangers lassù nel suo palchetto, il "nostro" Lanzafame ce ne fa due da dedicare a Secco Alessio che a gennaio non era manco stato capace di riprendersi ciò che era nostro, e io, che ancora sto lumando quel tipetto con la "10" fuori dalle braghe che imbocca a testa bassa il tunnel sotto la Filadelfia, mi domando se per noi , a questo punto, gli anni di Magrin e Zavarov saranno i prossimi oppure - bontà divina - dopo tanta espiazione di Cobolliana ispirazione possiamo far valere quelli appena trascorsi.

Riflessione finale: se domenica prossima tutto finirà come sembra, l'Inter ci avrà recuperato sette scudetti in quattro anni. E poi c'è chi dice che la matematica non sia un'opinione.