Il due aste fuori dalla curva Scirea, a mezz'ora da Juve-Bologna, tutto poteva sembrare fuorché un uccello del malaugurio. I presupposti per una domenica non banale, oltretutto, c'erano tutti: il prologo della trasferta di Genova addentata come alligatori affamati, proprio su quello stesso campo dove due giorni dopo, sabato, gli ambasciatori di Onestòpoli avrebbero invece lasciato denti e bottino; le scene da ospedale psichiatrico dello Specialnulla in conferenza stampa nel dopo gara a tracciare il primo, vero solco nei nervi onesti dei perdenti per antonomasia; il rientro di Diego contro una squadra che, anche a sforzarsi di essere ottimisti, l'aspetto di una pretendente alla zona Champions League non ce l'ha per niente. Insomma, la sensazione di poter inviare un segnale importante al campionato, per la prima volta dopo tre anni, era reale.
Le stagioni, quasi sempre, vivono di "mini-epoche" ben precise e ben definite. Un campionato non si vince certo alla sesta giornata, ma ieri pomeriggio sarebbe stato il momento ideale per mettere in chiaro le cose con la concorrenza; per fissare a terra ben saldo il paletto che segnasse un primo, inequivocabile confine nelle praterie ancora vergini del torneo.
L'avvio era stato apprezzabile e suggellato, verso la mezz'ora, dall'ennesimo centro in bianconero del mamba nero Trezeguet. A tutti gli infatuati della generosità di Amauri e Iaquinta, consiglierei di sfogliare con attenzione l'album dei ricordi juventini del periodo che va dal 2000 al 2009 per capire, cifre alla mano, il valore reale di un bomber di razza purissima nell'economia di una squadra di calcio al cospetto di certi buttafuori tutti corsa e spintoni. Prima di osannare la mediocrità, per favore, cerchiamo di tenere sempre bene a mente chi siamo e, soprattutto, da dove arriviamo. Ma non nel senso che intendono Blanc e Cobolli Gigli.
Perché è proprio grazie al senso Blancobolliano della nostra provenienza, purtroppo, che dobbiamo l'incapacità cronica di mettere la parola fine alle pratiche più abbordabili ("Non dimenticatevi dov'eravamo tre anni fa!"). Gente come l'Amauri degli ultimi mesi o il Molinaro di sempre, per esempio, non sono e non saranno mai in grado di colmare le lacune lasciate da calciopoli. Partite come quelle contro Genoa e Bologna andrebbero chiuse senza concedere alcun "bis". Si suonano due, tre pezzi e si va a casa contenti, tutti (tranne gli avversari, ovviamente). E se a Genova, come già detto, il pareggio in qualche modo aveva avuto le sembianze di una vittoria, ieri a Torino il diritto al rimpianto se lo sono conquistato più gli ex ruttatori felsinei del signor Idrolitina Gazzoni Frascara che non i bianconeri.
E' su questo aspetto che, secondo me, dovrà lavorare fino alla nausea e senza soste Ciro Ferrara, ammesso che ne sia in grado. Sulla capacità di lasciare il marchio nei momenti che contano, sulla capacità di lasciare il marchio sulle mini-epoche. Un giorno Fabio Capello - era il periodo del Milan delle 54 partite utili consecutive in campionato - disse: "Se non perdi mai, all'avversario gli togli la speranza". Ieri era il nostro piccolo, piccolissimo primo esame, non certo per togliere la speranza a chissà chi, ma quantomeno per mettere un po' di apprensione a tutti. Missione fallita.
Non so ancora, di preciso, se ce l'abbiamo Grosso oppure no. Ma, per adesso, "celo" meniamo.