La conferma definitiva mi è arrivata a pochi minuti dall'intervallo, credo fosse il 40' o giù di lì: "Papà, quando finisce il primo tempo?".
In quel momento mi è passata davanti agli occhi tutta la vita. In settimana avevo avuto le prime avvisaglie, quando conversando durante il pranzo mio figlio mi aveva detto che, forse forse, stava pensando di diventare interista pure lui, come quel suo compagno di scuola che "mi ha detto che la Juve perde sempre". Io, non per vantarmi, ero partito benissimo in contropiede, e avrei concluso anche meglio se la mano di mia moglie non mi avesse tappato la bocca prima di trascinare via nostro figlio come le guardie del corpo di un Capo di Stato durante un attentato. "Ah sì? Ma pensa... e tu dì al tuo compagno di chiedere a suo padre cos'ha fatto negli ultimi vent'anni, a parte prendere scoppole a ripetizione, quella grandissima test..."e qui, appunto, sono arrivati il black-out audio e la fuga.
Questione di pochi istanti, gol di Amauri e allarme rientrato. In realtà il Trillino si stava divertendo, solo non vedeva l'ora di andarsene un po' al bar dello stadio per non dover più sentire i botti delle bombe carta lanciate dai tifosi genoani verso la curva nord.
Siccome il tiro al tifoso juventino, evidentemente, non è più solo un'esclusiva della vulgata mediatica secondo la quale siamo diventati la peggio tifoseria d'Italia, staremo a vedere se il biglietto nominativo, le telecamere a circuito chiuso, gli steward, le riprese televisive e le facce da cretini dei grifo-granata con un debole per le miccette sapranno compenetrarsi a dovere sino a dare un nome e un cognome agli idioti aglio e basilico saliti in massa dalla riviera. La coppa Volpe, nel frattempo, io mi permetto di proporla al deficiente che, forse dopo anni e anni passati sui biliardi delle fumose taverne di via Prè, è riuscito a sparare un bengala contro la tettoia dello stadio facendolo rimbalzare a scheggia nello stesso settore dal quale lo aveva lanciato. Un "dai e vai", in pratica, che nemmeno Zebina e Amauri in stato di grazia.
Tra le millecinquecento ragioni per cui vorrei rivedere il simpatico grugno di Antonio Giraudo sul ponte di comando della mia squadra c'è anche la sua vecchia idea secondo la quale, nel nuovo stadio, si sarebbero potuti avere abbonati juventini in ogni settore, e tutti gli altri (gli ospiti) a casa a vedersele in tv. Che tempi, quei tempi; la conferma l'ho avuta al 40', appunto, o giù di lì.
E per concludere, detto di chi non salta Balotelli ma sfascia i seggiolini, passiamo finalmente alle note davvero goderecce. Il secondo rigore inesistente su Alex Del Piero, dopo quello contro la Lazio, lascia l'amaro in bocca. Perché il rigore inesistente, che ha sempre rappresentato la sublimazione orgasmica dei pomeriggi calcistici da quando seguo la Juve, nelle mani di una squadra disperata com'è la nostra di oggi dà una sensazione di incompiutezza, quasi di blasfema dilapidazione. Se vincere rubando è il massimo, rubare senza vincere fa un po' sfigatelli.
Dovendo fare di necessità virtù, dunque, e in attesa di tornare all'antico, accontentiamoci per ora di ammirare e ascoltare le litanie dei Gasperini frignanti. Però è chiaro che non possa bastare.
Guardo Del Piero sul dischetto: tiro, gol. Ok, ma... che fine ha fatto la Juve?