Sì, col cazzo. Trecentonovanta euro di abbonamento, che se non fossimo stati in due a dividerci le spese di autostrada e gasolio mia moglie mi starebbe rincorrendo per i campi con il randello in mano ancora adesso. Della tournée in America ho solo letto lo score finale, ovvio, una volta di più orgoglioso come si può essere orgogliosi della Juve più laida degli ultimi cinquant'anni. Anzi, del laidume, spacciato per Juventus, più laido di sempre.
Dopo averle prese da chiunque nel vecchio continente, i Blanconeri Ridens hanno esportato il modello anche dall'altra parte dell'oceano (Atlantico, non Elkann). Tre pere dai Red Bulls (che ci hanno messo le ali, ma non proprio sulle spalle) e una dalla Fiorentina, che non essendo riuscita a vincere né a Torino né a Firenze - impresa riuscita a pochi, quest'anno -, per suonarcele ha scelto il Canada.
Più che le cascate del Niagara, sullo sfondo dell'immagine da gita a Lourdes qui sopra, come pro-memoria indelebile di questa stagione indecorosa sarebbe stato più adatto il Vajont. Ma tant'è. Un po' di dollari degli immigrati, in cambio di una prova live di cosa fosse diventata la Juve, forse, non erano da buttare.
A mitigare lo sfascio quadriennale che ci lasciamo alle spalle, se non altro, l'epurazione di massa che senza troppa pubblicità sta avvenendo a Torino. Dice il saggio: "Che bilancio vuoi fare, se tutto ciò su cui lavorare è ancora un foglio bianco?". Certo, l'obiezione è pertinente, a maggior ragione se pensi che non è nelle tue corde chiacchierare, mai, non lo è mai stato. Men che meno sotto l'ombrellone. Ma quattro anni di (indi)gestione BlancElkanniana, oltre a sfasciare la Juve da dentro, hanno costretto noi juventini non più a cercare, ma a contare i peli nell'uovo che non c'è più.
E allora mi armo di pazienza e di speranza, non c'è dubbio, ma noto con piacere che tra ciò che si è concluso con il viaggio in America e ciò che è cominciato con l'insediamento (parziale) della nuova dirigenza, la differenza c'è, ed è abnorme.
I pissi-pissi di mercato, per dirne una, non provengono più da Corso Galfer come accadeva ultimamente (Amauri e Diego trattati per mesi sulle pagine dei giornali con aggiornamenti simili a un bollettino medico da parte di Cobolli Gigli). Non credo di sbagliarmi se penso che Andrea Agnelli e Beppe Marotta stiano lavorando a testa bassa, ventiquattr'ore su ventiquattro, per rifondare non solo una squadra, ma prima di tutto una società. Eppure nessuno pontifica, nessuno ammicca, nessuno emette alcun bollettino. Sono semplicemente, quelli che leggiamo, com'è giusto, numeri casuali usciti dalla roulette dei giornali. Un piccolo, ma non troppo, ritorno a quella normalità evocata da Vincenzo Chiarenza durante la presentazione del nostro libro a Torino, lo scorso 14 maggio.
Chiariamoci: per il futuro, tra Palombo e Iniesta propenderei leggerissimamente per il secondo, ma non è questo il punto. Ridateci la Juve, innanzitutto; ridateci il terreno sul quale gli eventuali juventini del futuro possano attecchire. Poi ne riparliamo.
Lavorare e stare in silenzio era un'altra delle regole d'oro della Juventus. Da sempre. Gianluigi Buffon, nove anni di Juventus, di cui cinque normali, dopo la finale di Madrid ha avuto il becco di dire che "dobbiamo prendere esempio dall'Inter". Uno che ha capito tutto. E io che pensavo non capisse niente.
Ritorniamo alla normalità. Monetizzare, please.
Dopo averle prese da chiunque nel vecchio continente, i Blanconeri Ridens hanno esportato il modello anche dall'altra parte dell'oceano (Atlantico, non Elkann). Tre pere dai Red Bulls (che ci hanno messo le ali, ma non proprio sulle spalle) e una dalla Fiorentina, che non essendo riuscita a vincere né a Torino né a Firenze - impresa riuscita a pochi, quest'anno -, per suonarcele ha scelto il Canada.
Più che le cascate del Niagara, sullo sfondo dell'immagine da gita a Lourdes qui sopra, come pro-memoria indelebile di questa stagione indecorosa sarebbe stato più adatto il Vajont. Ma tant'è. Un po' di dollari degli immigrati, in cambio di una prova live di cosa fosse diventata la Juve, forse, non erano da buttare.
A mitigare lo sfascio quadriennale che ci lasciamo alle spalle, se non altro, l'epurazione di massa che senza troppa pubblicità sta avvenendo a Torino. Dice il saggio: "Che bilancio vuoi fare, se tutto ciò su cui lavorare è ancora un foglio bianco?". Certo, l'obiezione è pertinente, a maggior ragione se pensi che non è nelle tue corde chiacchierare, mai, non lo è mai stato. Men che meno sotto l'ombrellone. Ma quattro anni di (indi)gestione BlancElkanniana, oltre a sfasciare la Juve da dentro, hanno costretto noi juventini non più a cercare, ma a contare i peli nell'uovo che non c'è più.
E allora mi armo di pazienza e di speranza, non c'è dubbio, ma noto con piacere che tra ciò che si è concluso con il viaggio in America e ciò che è cominciato con l'insediamento (parziale) della nuova dirigenza, la differenza c'è, ed è abnorme.
I pissi-pissi di mercato, per dirne una, non provengono più da Corso Galfer come accadeva ultimamente (Amauri e Diego trattati per mesi sulle pagine dei giornali con aggiornamenti simili a un bollettino medico da parte di Cobolli Gigli). Non credo di sbagliarmi se penso che Andrea Agnelli e Beppe Marotta stiano lavorando a testa bassa, ventiquattr'ore su ventiquattro, per rifondare non solo una squadra, ma prima di tutto una società. Eppure nessuno pontifica, nessuno ammicca, nessuno emette alcun bollettino. Sono semplicemente, quelli che leggiamo, com'è giusto, numeri casuali usciti dalla roulette dei giornali. Un piccolo, ma non troppo, ritorno a quella normalità evocata da Vincenzo Chiarenza durante la presentazione del nostro libro a Torino, lo scorso 14 maggio.
Chiariamoci: per il futuro, tra Palombo e Iniesta propenderei leggerissimamente per il secondo, ma non è questo il punto. Ridateci la Juve, innanzitutto; ridateci il terreno sul quale gli eventuali juventini del futuro possano attecchire. Poi ne riparliamo.
Lavorare e stare in silenzio era un'altra delle regole d'oro della Juventus. Da sempre. Gianluigi Buffon, nove anni di Juventus, di cui cinque normali, dopo la finale di Madrid ha avuto il becco di dire che "dobbiamo prendere esempio dall'Inter". Uno che ha capito tutto. E io che pensavo non capisse niente.
Ritorniamo alla normalità. Monetizzare, please.