martedì 11 agosto 2009

Rewind.

Circa due settimane fa, il 23 luglio per la precisione, in occasione della Peace Cup Ciro Ferrara si era espresso così a proposito di Christian Poulsen, uno dei pacchi dono recapitati sotto l'albero dalla dirigenza trifasica:
"Visto che la rosa a centrocampo era al completo, l'ho lasciato a Torino. Starà a lui capire che opportunità ci siano per disputare il Mondiale, se è meglio qui o in un'altra squadra".
Traduzione per i meno svegli: se si leva dai coglioni accettando una delle opzioni che gli sono state offerte, bene; altrimenti passa la stagione a scaldare i seggiolini della tribuna.
Insomma, non male come inizio per chi dovrebbe avere il compito di riportare un bel gruzzolo di juventinità nel caveau lasciato vuoto da calciopoli e mai nemmeno aperto da Ranieri, che intanto non avrebbe avuto nulla per riempirlo. Non male nel senso che per juventinità, da che mondo è mondo, si è sempre inteso un mix di serietà, competenza, rigorosa divisione dei ruoli, autorevolezza nello svolgere ognuno il proprio compito.
Senza addentrarsi nel merito di valutazioni tecniche sull'opportunità di aver ceduto Cristiano Zanetti alla Fiorentina per la considerevole cifra di due milioni di euro pagabili in tre anni - praticamente il noleggio di 11,1 tromboline presidenziali al mese per tutto il periodo - , il messaggio forte e chiaro che passa e sgorga come una cascata da questa vicenda è un altro, riportando violentemente le lancette dell'orologio indietro di tre anni. O di tre mesi, fate voi.
Nel giro di ventiquattr'ore, in pratica, quell'inutile scarto danese che pareva essere stato sottoposto - per la prima volta dopo calciopoli e finalmente - alla spesso miracolosa cura Moggi, diventa in un sol colpo medaglia d'oro, d'argento e di bronzo nella sua personale sfida contro quella Juventus che, troppo frettolosamente, tanti di noi si erano convinti di poter considerare avviata verso un percorso, seppur parziale, molto parziale, di recupero di credibilità e serietà.
A quanto pare Christian Poulsen rimarrà alla Juventus, troverà il suo spazio e potrà pure permettersi il lusso di gestire la propria voglia di rivalsa verso chi lo aveva pubblicamente scaricato ogniqualvolta le pedine teoricamente indicate come prime scelte non saranno disponibili (e per quanto abbiamo visto finora, il piedino di fata di Sissoko e il dinamismo da Barbapapà di Felipe Melo, in aggiunta alla propensione di entrambi a risolvere le questioni con gli avversari a colpi di boxe thailandese, l'idea è che ciò possa avvenire con la frequenza di un ciclo mestruale regolare).
Qualche malalingua vorrebbe intravedere in questa operazione di mercato, tanto inattesa quanto rapida nel concludersi, una sorta di favore concesso dall'amico per la pelle appassionato di brùm brùm alla Firenze che veste i piedi della gente fica. Qualcun altro, tempo fa, diceva che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.
Chissà, forse è stata solo un'operazione da scarpari. Ma chi sia a fare le scarpe, tra venditori e acquirenti, non è un segreto; così come non è un segreto chi siano quelli che, da tre anni a questa parte, le scarpe se le fanno fare.
Ieri, intanto, Ciro Ferrara ha dovuto fare una retromarcia che nemmeno ai tempi delle sveltine nel parcheggio vista-mare:
"Nel ruolo siamo comunque coperti, anche perché a questo punto non andrà più via Poulsen. Christian si è sempre allenato con serietà e impegno e io mi sono anche complimentato con lui per la professionalità che ci ha messo nel ritiro di Pinzolo".

"Wouldn't it be good to be in your shoes", Ciruzzo? Mi sa di no. Auguri.

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