Cinquantasei milioni di allenatori solo in Italia, e visto che io non sono meno pirla o meno deficiente degli altri, ma solo un po' meno pagato, faccio una breve premessa da vero mister mancato.
Alla Juve - si dice - manca qualità in mezzo al campo (anzi un po' dappertutto, ma non sottilizziamo), per cui bisogna tirare a campare. L'infortunio lampo di Tiago (che comunque rimane una pippa, tifosi modello "minchia-c'è-solo-la-maglia" prego astenersi dalle convulsioni) e l'ingresso forzato del dignitosissimo Marchisio, grazie alle scarpe indossate al contrario da Ibrahimovic, avevano comunque permesso ai bianconeri di andare al riposo sullo 0-0. Non sarebbe stato logico buttare nella mischia Camoranesi al 46', visto anche l'apporto lassativo dato da Marchionni e Nedved fino a quel momento, e provare a metterne in campo un po' di quella beata qualità, trallallero trallallà? Secondo me sì. Fine della divagazione Covercianocentrica.
Veniamo al problema vero, e non sto parlando di 4-4-2 o di ripartenze, che sono roba per profeti o eiaculatori precoci (QUI il ritratto di un pregiatissimo esemplare).
Il problema vero è che per la prima volta da dopo l'Espiazione, perché del prima è inutile parlare, la squadra più determinata a prendersi il malloppo in un Inter-Juve sia stata l'Inter e non la Juve. E se è successo, credo che la responsabilità se la debba prendere chi, per mestiere, dovrebbe sapere quali pulsanti premere nelle teste dei suoi giocatori.
Perché solo da lì può scaturire quel 110% di cui tanto si parla, con dosi industriali di retorica, quando ci celebra la proverbiale voglia di vincere della Juventus. Non parlo di vincere: parlo di voglia di vincere.
Una voglia di vincere che non è donata dallo spirito divino, né innata come l'istinto di chiudere gli occhi allo scoppio di un petardo o il desiderio di fare la cacca dopo un pronostico di Cobolli Gigli. Al contario, è (era) il frutto del lavoro e della mentalità costantemente coltivati sulla sponda bianconera di Torino, decennio dopo decennio, dai migliori professionisti del mondo.
L'impressione di oggi è che certi strappi di orgoglio dinnanzi al pericolo di estinzione, come quello dell'ultimo mese con sette vittorie consecutive, siano il frutto dell'autogestione motivazionale della vecchia guardia più che il risultato delle stimolazioni della Casa Madre ringiovanita e del suo staff simpatico e solare.
Ma siamo una squadra di calcio, mica un centro sociale. L'autogestione poteva andare bene al Napoli di Maradona o alla Samp di Boskov, giusto il tempo necessario per vincere uno scudetto, smaltire la sbronza e nulla più pretendere.
Vista la Juve di ieri, l'impressione che il conto col recente passato potesse essere ritenuto saldato dai quattro punti dell'anno scorso, diventa più di un cattivo pensiero. Una Juve così svuotata nella voglia di prendersi quel malloppo - proprio quello e proprio adesso - è un campanello d'allarme che secondo me ha un suono sinistro, assai diverso dal trillo semplicemente fastidioso di un periodo giocato sottotono o di un 3-0 inaspettato.
E allora, visto che il tempo è galantuomo ma non sempre, specie con l'anagrafe, sarà meglio programmare il futuro, sì con uno stadio che è un bijoux, ma anche con qualcuno che sappia riallacciare in fretta la Juventus al buono del suo passato.
Anzi, della sua storia.
Alla Juve - si dice - manca qualità in mezzo al campo (anzi un po' dappertutto, ma non sottilizziamo), per cui bisogna tirare a campare. L'infortunio lampo di Tiago (che comunque rimane una pippa, tifosi modello "minchia-c'è-solo-la-maglia" prego astenersi dalle convulsioni) e l'ingresso forzato del dignitosissimo Marchisio, grazie alle scarpe indossate al contrario da Ibrahimovic, avevano comunque permesso ai bianconeri di andare al riposo sullo 0-0. Non sarebbe stato logico buttare nella mischia Camoranesi al 46', visto anche l'apporto lassativo dato da Marchionni e Nedved fino a quel momento, e provare a metterne in campo un po' di quella beata qualità, trallallero trallallà? Secondo me sì. Fine della divagazione Covercianocentrica.
Veniamo al problema vero, e non sto parlando di 4-4-2 o di ripartenze, che sono roba per profeti o eiaculatori precoci (QUI il ritratto di un pregiatissimo esemplare).
Il problema vero è che per la prima volta da dopo l'Espiazione, perché del prima è inutile parlare, la squadra più determinata a prendersi il malloppo in un Inter-Juve sia stata l'Inter e non la Juve. E se è successo, credo che la responsabilità se la debba prendere chi, per mestiere, dovrebbe sapere quali pulsanti premere nelle teste dei suoi giocatori.
Perché solo da lì può scaturire quel 110% di cui tanto si parla, con dosi industriali di retorica, quando ci celebra la proverbiale voglia di vincere della Juventus. Non parlo di vincere: parlo di voglia di vincere.
Una voglia di vincere che non è donata dallo spirito divino, né innata come l'istinto di chiudere gli occhi allo scoppio di un petardo o il desiderio di fare la cacca dopo un pronostico di Cobolli Gigli. Al contario, è (era) il frutto del lavoro e della mentalità costantemente coltivati sulla sponda bianconera di Torino, decennio dopo decennio, dai migliori professionisti del mondo.
L'impressione di oggi è che certi strappi di orgoglio dinnanzi al pericolo di estinzione, come quello dell'ultimo mese con sette vittorie consecutive, siano il frutto dell'autogestione motivazionale della vecchia guardia più che il risultato delle stimolazioni della Casa Madre ringiovanita e del suo staff simpatico e solare.
Ma siamo una squadra di calcio, mica un centro sociale. L'autogestione poteva andare bene al Napoli di Maradona o alla Samp di Boskov, giusto il tempo necessario per vincere uno scudetto, smaltire la sbronza e nulla più pretendere.
Vista la Juve di ieri, l'impressione che il conto col recente passato potesse essere ritenuto saldato dai quattro punti dell'anno scorso, diventa più di un cattivo pensiero. Una Juve così svuotata nella voglia di prendersi quel malloppo - proprio quello e proprio adesso - è un campanello d'allarme che secondo me ha un suono sinistro, assai diverso dal trillo semplicemente fastidioso di un periodo giocato sottotono o di un 3-0 inaspettato.
E allora, visto che il tempo è galantuomo ma non sempre, specie con l'anagrafe, sarà meglio programmare il futuro, sì con uno stadio che è un bijoux, ma anche con qualcuno che sappia riallacciare in fretta la Juventus al buono del suo passato.
Anzi, della sua storia.
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