Dicono che il buongiorno si veda dal mattino. Mi piacerebbe chiederlo a coloro che nella vita si siano risvegliati almeno una volta nello stesso letto di Bedy Moratti, e non necessariamente vedendola struccata, anche perché truccare un passaporto o un bilancio per renderli presentabili, al confronto, è un gioco da ragazzi. Ma prendiamo per buono il luogo comune.
Il mattino del processo a Calciopoli, per esempio, è iniziato con l'invito "a evaporare" per tutti i soggetti costituitisi parte civile in cerca di risarcimento danni, ivi compresi quelli che avevano indicato nella Juventus della Triade la causa dei loro problemi: Brescia, Salernitana Sport e "vecchio" Bologna, quello tutto rutti e reflussi del signor Idrolitina Gazzoni Frascara.
Il collegio giudicante ha così superato di slancio anche il volumetto di 34 pagine con il quale lo studio legale Grande Stevens (segue nitrito di cavalli alla Frankenstein Jr.) aveva approntato la memoria difensiva; memoria difensiva non della storia della Juventus e della sua ultracentenaria onorabilità ma, più terra terra, dei soldini della controllante Exor ex Ifil.
Esattamente come nel celeberrimo ricorso al TAR ritirato all'ultimo minuto grazie al prodigo intervento del figliol prodigo (segue conato), in quella memoria si afferma che Luciano Moggi agì "travalicando le proprie mansioni che non prevedevano contatti con gli arbitri e che non gli attribuivano i poteri di rappresentanza". Tradotto per gli ignoranti, veri e finti, secondo la tesi difensiva dello studio legale che porta il nome del presidente della Juventus all'epoca di calciopoli (segue grassa risata seguita da due conati) la Juventus non avrebbe dovuto essere accusata di responsabilità diretta ma, al limite, di responsabilità oggettiva: ergo niente serie B (seguono QUATTRO telefonate dell'avvocato Zaccone disorientato: "Ma non si era detto che... ?").
Sono tre anni che scriviamo di come lo scandaloso coinvolgimento di Antonio Giraudo nella melma di calciopoli sia servito esclusivamente per rendere più rumorosa - e, soprattutto, certa - la caduta della Juventus sotto i colpi del commando giudicante ingaggiato ad hoc nel 2006 da Guido Rossi. Anche per sputtanarlo a puntino agli occhi di certi ambienti italici, aggiungerei, ma non allarghiamo troppo il discorso. Così come sono tre anni che cerchiamo di spiegare alla corrente dell'Italia juventina votata al sorriso e all'espiazione (se non proprio un popolo di voltagabbana, diciamo almeno un popolo di voltapagina), che la nostra battaglia di tifosi non consiste nel difendere Luciano Moggi manco fosse un parente, ma piuttosto nel pretendere una risposta chiara e definitiva da dentro casa nostra sul perché la Juventus, la nostra Juventus, quella leggendaria squadra di Torino con la maglia bianconera, a prescindere dagli uomini che la dirigevano, non sia stata risparmiata dall'onta della retrocessione e dal ludibrio dei suoi accusatori.
Nel frattempo, se il buongiorno si vede dal mattino, temiamo che trovare a Napoli la tanto attesa conferma ufficiale della natura malvagia e fraudolenta della Juventus, più ancora che dei singoli protagonisti di calciopoli, per gli eterni frustrati dell'Italia antijuventina stia iniziando a prendere le sembianze di una chimera. Com'è sempre stata, d'altronde, la speranza di eguagliarne i successi e il prestigio.
Sono passati tre anni, tanti, ma su una cosa, per chi la pensa come noi, il tempo non scorre affatto. Quella cosa sono le risposte che ci spettano; perché sul fatto che il buongiorno si veda dal mattino possiamo discutere, anche se in fondo io, al fianco della Bedy, mica mi ci sono mai svegliato. Ma sul fatto che la vita sia fatta di priorità proprio no, non si discute. Risposte, dunque.
E delle curve a 50 euro, francamente, me ne infischio.
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