mercoledì 13 febbraio 2008

Danni collaterali.


Non per andare contro corrente, ma cosa volete dalla vita, un Lucano?
Roberto Beccantini si lagna dello spezzatino in programma prossimamente sulle pay-TV per le partite di campionato, programmate a tutte le ore del giorno e della notte.
Bene, allora ribalto la questione: chi è che paga le campagne acquisti e gli stipendi deliranti delle squadre di calcio planetarie?
Stabilito che non esistono più i mecenati disposti a buttare valanghe di miliardi dentro alla caldaia inesauribile della passione, cosa dovrebbero fare le tanto vituperate televisioni per potersi permettere di ingrassare le tasche dei presidenti senza portafoglio di Roma, Milano, Torino, Genova, Firenze, Napoli, e via dicendo?
Un po' meno ipocrisia sarebbe gradita, anche se l'esperienza di calciopoli ha dimostrato quale pozzo senza fondo siano (quelle sì) la convenienza e la malafede degli addetti ai lavori nel sostenere le proprie ragioni e quelle dei non meglio definiti tifosi.
Berlusconi ha dato un giro di vite al rubinetto dei propri conti correnti, Moratti ha le pezze al culo (carta canta, basta leggersi i bilanci degli Onesti approvati e depositati dall'assemblea dei soci Onesti negli ultimi anni), la famiglia Sensi è stata invitata a trovare una soluzione definitiva per risolvere i problemi finanziari della Roma (un modo carino per suggerire a Franco e Rosella di togliere il disturbo), il moralizzatore Lotito cerca di risparmiare anche sulle bollette della luce, mantenendo in vita la sua Lazio solo grazie alla repubblica delle banane italica che gli permette di rateizzare in centottant'anni i versamenti delle imposte, Della Valle compra solo se chi vende è un amico disposto a regalargli talenti come Mutu per quattro soldi, le piccole stanno in piedi solo grazie al continuo compra e vendi di bidoni come Almiron a prezzi da boutique, la proprietà della Juventus (non riesco nemmeno a nominarli) butta nel cesso i proventi di un aumento di capitale una tantum e, per non smentirsi nella sua inadeguatezza, partecipa a gran parte delle operazioni di mercato demenziali appena descritte. Che si fa, signori miei?
Se l'unico obiettivo sono i soldi, non vedo molte alternative al processo di adeguamento di tutte le società di calcio alle esigenze di chi, tagliando e cucendo le pezze di questo vestito sempre troppo corto per coprire le vergogne di tutti, bene o male finanzia lo spettacolo, mantenendolo ancora su livelli accettabili dal punto di vista dello spettatore. Di quello spettatore che si incavola quando le stelle del doppio passo finiscono alla concorrenza, ma vorrebbe ancora andare allo stadio alle ore 14.30 d'inverno, alle ore 16.00 d'estate, con la sciarpa in una mano e la radiolina nell'altra, il cornetto a cinquemila lire e le divise dei calciatori attillate e senza sponsor, insieme a 70mila spettatori quando lo stadio ne potrebbe accogliere al massimo 50mila e pisciando giù dal secondo anello perché i bagni, una volta pieni gli spalti, sono irraggiungibili fino al fischio finale dell'arbitro.
L'ho fatto anch'io tantissime volte, e non era affatto male, ma da allora si è passati dalla consolle Intellivision (collegata alla TV in bianco e nero) alla Playstation 3 senza fili nel controller (collegata al 42 pollici LCD ad alta definizione).
Lo scenario in arrivo sui nostri teleschermi (quello del calcio reale, non quello dei videogames), dovrebbe fare riflettere una volta di più, semmai, su quei famosi "poteri forti" ai quali faceva riferimento qualcuno, dopo essere stato eliminato dal tavolo di gioco come causa di tutti i mali.
Quando si parlava di queste cose, infatti, qualcun altro sedeva (e siede tutt'ora) con il culo sopra a due sedie (Galliani), comprando la sopravvivenza di tutti gli altri nella veste - anche - di venditore della propria a se stesso, mentre tutti gli altri (Inter e Roma comprese, tanto per citare le più pimpanti nel denunciare l'inciucio Juve-Milan e i derivanti soprusi, salvo approvarne la linea quando si parlava di soldi) erano ben liete di sbottonare un altro po' i pantaloni, pur di avere in cambio qualche spicciolo aggiuntivo.
Perché si fanno carte false per entrare nelle prime quattro e vedersi così aperte le porte per la Champion's League? Per i soldi, of course. Ma chi li mette tutti quei soldi? Paperone? Clarabella? Fra' Cazzo? No, signori miei, quella montagna di soldi li mettono sempre loro, le TV.
Era anche per questa ragione che io, da juventino, confidavo in un futuro straordinario per la mia squadra. Il manager più capace che la Juventus abbia mai avuto in oltre cent'anni di storia - Antonio Giraudo, straordinario proprio perché in grado di mantenerci ai vertici capitalizzando al meglio un patrimonio di passione, quello per la Juventus, che pochi club al mondo possono vantare - aveva impostato un progetto che, congiuntamente al nuovo stadio e ad altri investimenti mirati, avrebbe traghettato la Juventus nella nuova era del calcio.
Quella dei colossi europei e mondiali, del G-14 (prontamente ridimensionato dai nuovi Blatter e Platini, nuovi come Abete, Matarrese e Carraro) e della probabile Super Lega europea. Magari priva di calore e sentimento rispetto agli anni del cornetto a cinquemila lire, quella nuova era, ma l'unica in grado di offrire un tenore di vita sempre e comunque elevatissimo per quei club che vi avrebbero preso parte, e mi dispiace se la Juventus ha qualche decina di milioni di tifosi sparsi in Europa mentre la Fiorentina fatica a raggiungere il milione, esaurendo la propria corsa appena cinquecento metri oltre la riva dell'Arno.
Oggi che probabilmente la Super Lega (per un po', almeno) è stata accantonata, quel concetto base di calcio-spezzatino sta per essere trasferito su scala nazionale alla serie A, come già avviene da tempo nella Premier League inglese, che non mi pare proprio il terzo mondo del pallone.
Non si capisce per quale ragione un ex sport diventato business (come quasi tutto, purtroppo) dovrebbe sfuggire alle regole che regolano qualsiasi business, secondo il mai confessato principio che vorrebbe l'inizio di un mondo migliore, depurato dal turbo capitalismo dove il dio denaro detta le condizioni a tutto e a tutti, cominciando proprio dal pallone.
Lo trovo ipocrita e sgradevole, come trovavo ipocrita e sgradevole la vocazione al "comunismo reale" di tutte le società al di fuori di Juve, Milan e Inter quando si trattavano i diritti televisivi a titolo soggettivo, prontamente riportati alla forma collettiva da quel governo di centrosinistra finito faccia a terra pochi giorni fa, che verso la fine degli anni novanta aveva compiuto lo stesso passo ma nella direzione opposta. Un comunismo reale secondo il quale se cento persone pagano per vedere la partita - ma novanta guardano la mia squadra - il ricavato va diviso in parti uguali, sennò chi ha solo tre abbonati non potrà mai vincere lo scudetto.
Anche Tano Scannaminchia (ve lo ricordate?), che ha un negozietto di elettrodomestici, ha provato a chiedere al gruppo Media World se a fine anno vogliono sommare i loro incassi ai suoi e dividere il tutto a metà. L'ha fatto alzando la voce, addirittura minacciandoli di fare intervenire il governo con un decreto legge.

Gli hanno risposto di levarsi dai coglioni, altrimenti chiamavano i carabinieri.


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