Se è vero che i sudamericani ci assomigliano tanto per via dell'indole latina, nel signor Emerson questa qualità si è sviluppata in modo davvero maestoso.
Il neo pizzaiolo di Pelotas (un luogo di nascita, un destino) pare non avere difficoltà a riqualificarsi minuto dopo minuto, alla faccia del precariato.
Come un napoletano d.o.c., nel senso più stereotipato del termine - non me ne vogliano i napoletani veri - è riuscito a tentare il triplo salto mortale carpiato rovesciato del paraculo. Dalla Juve al Real Madrid al Milan (virtualmente, stava per sostenere le visite mediche, secondo radio-mercato) all'Inter, destinazione virtuale anche quest'ultima ma ancora per poco, temo. In dodici mesi.
Che non esistano più le bandiere, anzi nemmeno le aste sulle quali issarle, non è un mistero. Però qualche limite, questi personaggi tristi e vuoti fino al midollo, potrebbero porselo, almeno una volta nella vita.
L'altro ieri, a proposito della sponda rossonera di Milano aveva detto: "In rossonero funziona tutto a meraviglia, dentro e fuori dal campo. Non si sente mai una polemica, tutti vorrebbero giocare nel Milan. Sono pronto a valutare le offerte che mi arriveranno, i soldi non sono tutto". E 'sti cazzi, non ce lo mettiamo?
Ieri se ne è uscito l'allenatore degli onesti, quello che iniziò a Firenze senza patentino facendo incazzare tutti i colleghi, dicendo che Emerson nel suo ruolo è il migliore al mondo, e l'attestato di stima del brasileiro per la sponda nerazzurra di Milano è stato immediato, ovviamente.
Tutto stupendo, insomma, in un intreccio di lingue in bocca e petting appena un gradino sotto ai dvd di Rocco e Moana.
Una sola cosa, non mi torna. Come mai nessuno si scandalizza di fronte al tentativo di ricostruire, un pezzettino alla volta, la squadra dei ladroni di scudetti che l'anno scorso venne giustamente smontata e sciolta nell'acido della serie B?
Nessun commento:
Posta un commento