Un giorno su un forum, un moderatore che non era felice di quanto scrivevo, disse:
"A me 'sto concetto di "normalizzati" inizia parecchio a scassare le palle. Quando inizieremo a capire (ed accettare) che non tutti la pensano allo stesso modo, ma non per questo sono dei pirla o dei lobotomizzati"?
I normalizzati non devono innanzitutto essere considerati pirla o lobotomizzati. Basterebbe riflettere sul significato delle parole o semplicemente conoscerlo, senza farsi prendere troppo dall'emotività, per capire i pensieri del proprio interlocutore.
Normalizzare: rendere normale. E' vero che il concetto di normalità è assai astratto. Converrete con me che però nel caso del calcio, visto che si sta parlando solo ed esclusivamente di questo, la normalità consiste nel tran-tran delle partite, i gol, le polemiche, i titoloni sui giornali, l'ultima di campionato e i caroselli di chi festeggia lo scudetto.
Con calciopoli tutto ciò è venuto a mancare, almeno parzialmente, con i nefasti effetti che ben conosciamo sulle finanze del pallone in senso lato.
E' stato a quel punto che il processo di normalizzazione è scattato in forma massiccia. Rendere la Juventus il più possibile simile a ciò che è sempre stata nel contesto dello spettacolo, era dannatamente indispensabile per ripristinare il funzionamento del giocattolo, a vantaggio di tutti i bambini interessati al gioco. Quindi la Juve è forte, la Juve è bella, la Juve è sempre la Juve. Col cazzo, diciamo noi non normalizzati.
Essere normalizzati, significa evidentemente ritornare alla logica di sempre. La critica alla squadra, l'attesa per la partita, la gioia o la delusione per il risultato, la schedina, i gol alla TV. Come è sempre stato. Come se nulla fosse successo.
Il problema è che la nostra squadra non si trova a dover ripartire dal basso a causa della fine naturale di un ciclo, come periodicamente è capitato in passato. Il nostro attuale status sportivo e societario è stato esclusivamente e repentinamente causato da calciopoli.
Si dà il caso che però calciopoli abbia rappresentato una bestemmia giuridica, e non lo affermo io perché sono tifoso e non mi va giù di dovere accettare la sconfitta. Lo hanno detto a chiare lettere nei mesi scorsi fior di rappresentanti della Corte Costituzionale, della Giustizia ordinaria e di quella sportiva. Sono situazioni concrete, reali ed evidenti, come il fatto che Guido Rossi abbia preso, tra le tante, decisioni che secondo lo statuto federale non gli era neppure consentito di prendere in quanto Commissario Straordinario e non Presidente della Federcalcio in carica a tutti gli effetti.
L'arbitraria decisione di eliminare un grado di giudizio, di nominare una nuova corte giudicante, di non consentire alla difesa degli imputati di produrre come prove a discarico i filmati delle partite, i tabulati telefonici al di fuori di quelli presi in esame dalla Caf, l'avere iniziato il dibattimento con le richieste di condanna da parte del procuratore federale (!) PRIMA che il dibattimento stesso iniziasse, il fatto che l'intero processo sia stato montato sulla base di intercettazioni telefoniche frutto di un'indagine ANCORA IN CORSO presso la procura della repubblica di Napoli - quindi coperte da segreto istruttorio - RAPPRESENTANO UN ABOMINIO GIURIDICO INNEGABILE.
Di fronte a questi elementi, nessuno dotato di un minimo di ragione e di logica può negare che se la Juventus avesse inoltrato, come pareva nelle sue intenzioni fino all'ultimo giorno utile, il ricorso al TAR del Lazio, avrebbe ottenuto ragioni a cascata (anche questa tesi non la sostengo io, ma il professor Antonio Baldassarre, ex Presidente della Corte Costituzionale), facendo verosimilmente crollare il sistema pallonaro. In che modo? E' molto semplice: il Tar del Lazio non avrebbe potuto ribaltare le sentenze, ma di fronte a tali e tanti stupri del diritto, avrebbe annullato le sentenze stesse e i campionati sarebbero rimasti bloccati, nella migliore delle ipotesi, per mesi.
Chi avrebbe potuto sopportare economicamente un danno del genere? Come avrebbe potuto evitare il fallimento la Federazione Italiana Giuoco Calcio di fronte alla richiesta danni di quelle società che avessero avuto ragione, una volta rifatti i processi in maniera seria e giuridicamente corretta?
Non mi interessa entrare nel merito dei perché si sia deciso di evitare tutto questo, accettando di fatto la demolizione sul piano sportivo, economico e dell'immagine. Non è questo il punto, almeno in questa riflessione. Il punto è invece la normalizzazione.
Rientrare nel gioco della normalità, esibendo il diritto di pensarla come si crede, è quantomeno improprio. I fatti che ho citato, seppur sommariamente e magari con qualche imprecisione - ma non troppo, e comunque me ne scuso se così fosse - non sono suscettibili di opinione come il colore preferito o le scelte individuali in materia sessuale o religiosa.
Essersi normalizzati, a questo punto dovrebbe essere chiaro il significato del termine, significa avere accettato di buon grado e sulla propria pelle, di tifosi e appassionati, delle palesi ingiustizie.
Si può averlo fatto per due sole ragioni: consapevolmente, per pigrizia, per quieto vivere, per viltà o presunta lungimiranza (il classico "intanto protestare non serve a nulla, ormai è andata così"). Oppure per ignoranza della materia trattata, limitandosi a prendere per oro colato i vergognosi resoconti della stampa, specialmente durante i mesi più caldi della vicenda calciopoli.
A qualunque di queste situazioni si appartenga, io non considero i normalizzati dei pirla o dei lobotomizzati. Li accosto più semplicemente a quella tipologia di persone che accetta di tutto e di più pensando solo ai cazzi propri, salvo sbraitare se qualcuno o qualcosa gli pesta l'orticello. Si chiama (in)capacità di indignarsi. E' un concetto che la trilogia di calciopoli Oggiano/Cambiaghi/Pasta-Sironi spiega molto bene. Basterebbe leggerli, quei libri. Insieme alle sentenze, alle informative, ai ricorsi mai presentati.
E' tutto lì, non serve altro.